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Adidas, Genomatica, Max Plank Institute, Eni e Vestaron: ecco chi lavora alla chimica verde

La chimica verde, o sostenibile, potrebbe minare le ambizioni petrolchimiche delle compagnie petrolifere, soprattutto in un mondo sempre più attento all’ambiente

Malgrado gli ambientalisti invitino i colossi industriali di petrolio e del gas a non utilizzare più idrocarburi e a non estrarli, molti prodotti del nostro attuale stile di vita, dall’abbigliamento ai cosmetici, fino a detergenti e medicinali, provengono proprio dal più grande consumatore industriale sia di petrolio sia di gas, vale a dire il settore chimico.

LO STRETTO LEGAME TRA CHIMICA E IDROCARBURI

L’industria della chimica ha ascoltato le richieste di riduzione delle emissioni e sta cercando il modo di rendere la lavorazione delle materie prime dei combustibili fossili meno dipendente dalle emissioni di Co2. Nonostante questo, i sostenitori della cosiddetta “chimica verde” credono che si possa fare molto di più per rendere l’industria sostenibile, evitando conseguenze indesiderate come danni alle persone e all’ambiente e allo stesso tempo riducendo i rifiuti, conservando l’energia e scoprendo sostituzioni di sostanze pericolose.

È in questo senso che la chimica verde, o sostenibile, potrebbe minare le ambizioni petrolchimiche delle compagnie petrolifere, soprattutto in un mondo sempre più attento all’ambiente. Anche se, consapevoli o meno dell’ambiente, i consumatori non smetteranno mai di aver bisogno dei molti prodotti dell’industria chimica – dalle giacche impermeabili e la tintura per i nuovi blue jeans alla moda, ai chip per computer e ai disinfettanti.

QUANTO PRESA IL SETTORE CHIMICO COME CONSUMATORE DI IDROCARBURI

Il settore chimico è, infatti, il più grande consumatore industriale di petrolio e gas, rappresentando il 15 per cento, o 13 milioni di barili di petrolio al giorno, della domanda primaria totale di petrolio su base volumetrica e il 9 per cento del gas, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aie).

Secondo l’Aie, le emissioni del settore chimico dovrebbero raggiungere il picco nei prossimi anni e diminuire verso il 2030 per rimanere in linea con lo Scenario di Sviluppo Sostenibile (SDS).

COSA DICE IL PADRE DELLA CHIMICA VERDE ANASTAS

La chimica verde ha il potenziale non solo di ridurre le emissioni del settore. Può anche realizzare le sostanze per i prodotti garantendo il minimo di rifiuti, riciclabili e degradabili, secondo Paul Anastas, il direttore del Center for Green Chemistry and Green Engineering dell’Università di Yale, la persona soprannominata ‘il Padre della chimica verde’ dopo aver elaborato i 12 principi della chimica verde in un libro del 1998, ‘Green Chemistry’: Teoria e pratica”. Il primo principio della lista è la prevenzione e chiede di “prevenire i rifiuti” piuttosto che trattarli o ripulirli dopo che sono stati creati.

Finora, l’industria si è concentrata per lo più sulle prestazioni specifiche limitate di una sostanza chimica, mentre un’industria futura sostenibile si dovrebbe occupare di tutti gli effetti di una sostanza chimica sull’ambiente, sulla salute delle persone e su tutte le altre potenziali conseguenze indesiderate e possibilmente dannose, dice Anastas.

“Quindi la chimica verde è davvero un modo per mantenere tutti quei miracoli tecnologici, quelle innovazioni, senza le conseguenze indesiderate”, ha detto al programma di Energia Sostenibile della CNBC.

All’inizio di quest’anno, Anastas aveva detto, commentando un documento da cui è co-autore, che “la natura ci ha dato materiali rinnovabili più abbondanti di tutta la produzione di ogni raffineria petrolchimica messa insieme”.

Ogni settore dell’industria chimica utilizza una qualche forma di chimica verde, che si tratti di riciclaggio o di utilizzo dei rifiuti come risorsa, ma il settore non ha ancora adottato sistematicamente i principi di sostenibilità, dice Anastas.

Anastas e altri professori e scienziati di ingegneria verde e chimica verde hanno sottolineato in un articolo di quest’anno che le sostanze chimiche dovrebbero essere valutate non solo in base a quanto funzionano bene, ma anche se queste sostanze chimiche sono sostenibili, riciclabili e non tossiche per tutto il loro ciclo di vita.

Secondo gli scienziati sono stati fatti dei progressi, ma Anastas dice che “le sorprendenti realizzazioni della chimica verde e dell’ingegneria verde finora impallidiscono in confronto alla potenza e al potenziale del settore nel futuro”. Per questo gli scienziati sono costantemente al lavoro alla ricerca di alternative sostenibili ai processi e ai materiali chimici.

ADIDAS, GENOMATICA, MAX PLANK INSTITUTE E VESTARON

Gli scienziati del Max Planck Institute of Colloids and Interfaces di Potsdam, in Germania, ad esempio, hanno sviluppato un approccio verde alla sintesi selettiva del p-xilene pXL, uno dei più importanti elementi costitutivi dell’industria dei polimeri, a partire da materie prime rinnovabili. La produzione di pXL è ancora basata su materie prime fossili. https://www.mpg.de/15381465/green-chemistry-sustainable-p-xylene-production

La chimica verde fa già parte di molti prodotti di consumo. Adidas, per esempio, produce scarpe da rifiuti di plastica riciclata.

Genomatica, con sede a San Diego, ha creato il glicole butilene naturale, comunemente usato nei cosmetici per la ritenzione dell’umidità e come vettore per gli estratti vegetali. Il glicole butilene è tradizionalmente prodotto a partire da combustibili fossili, ma Genomatica è prodotto fermentando l’E.coli con zuccheri rinnovabili, per il quale ha ricevuto il premio della U.S. Environmental Protection Agency (EPA) nell’ambito dei Green Chemistry Challenge Awards 2020.

Un altro vincitore del premio EPA 2020 è stato Vestaron Corporation per un bio-insetticida basato su un componente naturale ispirato al veleno di ragno che può controllare efficacemente i parassiti bersaglio senza mostrare effetti negativi sulle persone, sull’ambiente e sulla fauna selvatica non bersaglio come pesci e api.

LA CHIMICA VERDE IN ITALIA

E l’Italia? A più di 50 anni dagli studi del premio Nobel Giulio Natta, che diedero impulso alla rivoluzione della plastica, il nostro paese è tornato a scommettere sulla chimica, questa volta verde e sostenibile, per rispondere alle sfide globali e riconquistare un ruolo di primo piano sulla scena internazionale: e lo ha fatto con il nuovo Istituto di scienze e tecnologie chimiche ‘Giulio Natta’ (Cnr-Scitec), istituito a Milano da una delibera del Consiglio di amministrazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). Frutto della riorganizzazione della rete scientifica del Cnr, il nuovo polo può già contare su 120 ricercatori operativi e, attraverso nuove sinergie con università e imprese, mira a diventare un riferimento per la chimica pura e applicata.

A livello industriale è Eni una delle realtà italiane che ha deciso di scommettere sulla chimica verde e precisamente “a Gela (Caltanissetta), dove la raffineria dell’Eni — che non raffina più il greggio estratto dalle profondità delle rocce — sta rinascendo in veste di green refinery, raffineria verde. L’impianto che produce biopetrolio di alta qualità partendo dall’immondizia più lercia si chiama impianto Forsu, che è la sigla di frazione organica dei rifiuti solidi urbani, cioè gli avanzi di cucina. Ingredienti: gli ossi del pollo, i broccoli appassiti, le croste del formaggio, le bucce dei cetrioli, i gusci d’uovo, i pomodori marci: tutto diventa petrolio da usare nei motori”, si legge sul Sole 24 Ore.

Le operazioni sono partite nell’agosto del 2019: l’impianto siciliano ha una capacità di lavorazione annua che può raggiungere le 720 mila tonnellate annue di oli vegetali usati, grassi di frittura, grassi animali, alghe e sottoprodotti di scarto per produrre biocarburanti di qualità. La nuova bioraffineria, considerata secondo tutti gli standard tecnici la più innovativa d’Europa, ha preso il posto del grande petrolchimico, realizzato a partire dal 1962, e i cui impianti sono stati fermati. Per la riconversione della raffineria sono stati a oggi spesi oltre 360 milioni di euro, si legge sul sito Eni.

La bioraffineria di Porto Marghera è stato, invece, il primo esempio al mondo di riconversione di una raffineria tradizionale in bioraffineria. Dal 2014, qui vengono trattate e convertite circa 360.000 tonnellate di oli vegetali all’anno. Nel 2019 Eni Rewind ha avviato l’identificazione di possibili opportunità di sviluppo in Italia. In particolare, sono stati realizzati gli studi di fattibilità di un impianto Waste to Fuel a Porto Marghera, con una capacita di trattamento fino a 150.000 tonnellate all’anno di FORSU (Frazione Organica di Rifiuto Solido Urbano). Dal 2021, grazie a un ulteriore upgrade dell’impianto, è previsto il potenziamento della capacità di lavorazione, con una sempre maggiore quota di materie prime che derivano da scarti della produzione alimentare, come oli usati, grassi animali e sottoprodotti legati alla lavorazione dell’olio di palma.

La chimica verde, insomma, ha il potenziale non solo di ridurre le emissioni dell’industria, ma anche per ridurre le “conseguenze indesiderate” dei prodotti chimici sulle persone, sull’ambiente e sulla vita animale.

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