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Il fallimento delle banche sulla gestione del rischio climatico visto dalla Bce

L’ultimo monito arriva dalla Banca centrale europea. Pronte sanzioni fino al 5% delle entrate quotidiane

A riportare la notizia e i rumors attorno al monito è Bloomberg. “Gli istituti di credito non stanno facendo abbastanza per prepararsi alle ricadute degli shock meteorologici estremi sui valori delle attività o al rischio che i clienti con grandi impronte di carbonio possano fallire l’attività”. Vediamo nel dettaglio le mosse della Banca centrale europea e il quadro generale.

LA BCE AVVERTE LE MAGGIORI BANCHE

Le sanzioni “minacciate” da Francoforte possono arrivare fino al 5% del fatturato giornaliero degli istituti di credito principali del Vecchio Continente. Vale a dire, ipotizza l’agenzia, con un fatturato da dieci miliardi di euro si tratterebbe di una cifra pari a 1,4 milioni di euro.

Il tema, dunque, è quello degli ESG, acronimo di Environmental, Social and Governance che si riferisce ai parametri climatici ai quali devono aderire aziende e non solo. La Bce sta aumentando la pressione continuando a inviare lettere di monito per portare le banche a rispettare le scadenze. E il ricorso alla minaccia di sanzioni sta prendendo sempre più piede, anche se – riporta Bloomberg in base a impressioni raccolte – sarà improbabile assistere a una imposizione massiccia di tali ritorsioni economiche.

Come già spiegato da un membro del comitato esecutivo della Bce – Frank Elderson – uno dei passi ancora mancanti da parte delle banche è la valutazione del rischio materiale dagli impatti del cambiamento climatico.

LA SITUAZIONE

In chiusura, poi, l’agenzia cita anche un’analisi di ShareAction pubblicata oggi. Secondo questa, “mentre le banche stanno promuovendo attivamente le loro credenziali di finanza verde, c’è una diffusa mancanza di trasparenza intorno alla loro attività di finanza verde. Questa mancanza di chiarezza lascia tutte le 20 banche aperte all’accusa di greenwashing”. Di più: “solo quattro banche – Barclays, BNP Paribas, ING e Intesa Sanpaolo – pubblicano informazioni parziali su come hanno calcolato alcuni dei loro obiettivi di finanza verde“.

Vengono poi citate, in negativo, Crédite Agricole e Deutsche Bank che “hanno anche incluso attività di generazione di energia ad alta intensità di carbonio nei loro obiettivi di finanziamento verde come l’estrazione di gas naturale (Crédit Agricole) e alcune forme di biomassa per la produzione di energia (Deutsche Bank)”.

Secondo ShareAction, “quasi nessuna banca tiene conto della facilitazione dei mercati dei capitali – Barclays è l’unica -, in cui le banche aiutano le aziende a raccogliere fondi come le obbligazioni, nei loro obiettivi di decarbonizzazione. Quasi tutte le banche includono l’agevolazione dei mercati dei capitali nei loro obiettivi di finanza verde”. I dubbi sull’impegno green di questi istituti, insomma, permangono e la fumosità di questo quadro potrà essere risolto soltanto con un serio impegno istituzionale e aziendale. Anche perché, quanto non fatto negli anni scorsi è ormai assodato. Il 31 ottobre il Guardian, ad esempio, raccontava che le banche hanno investito oltre 150 miliardi di dollari in aziende impegnate in progetti fortemente inquinanti a causa del ricorso a carbone, petrolio e gas. Tra il 2016 e il 2022 le banche, solo negli Stati Uniti, hanno concesso finanziamenti per oltre mezzo trilione di dollari ad aziende che pianificano “bombe al carbonio”.

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