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Emissioni

Perché la cattura della CO2 non può essere l’unica soluzione

Nonostante la crescita dell’interesse nei loro confronti, molte tecnologie di rimozione della CO2 sono ancora troppo costose per potersi imporre su larga scala

Il New York Times scrive che le tecnologie di cattura e sequestro del carbonio – che permettono appunto di catturare l’anidride carbonica generata dai processi produttivi e di stoccarla sottoterra, evitandone così la dispersione nell’atmosfera – sono state per molto tempo considerate delle soluzioni poco fattibili per il contrasto del riscaldamento globale. Soluzioni magari possibili da un punto di vista pratico, ma troppo costose e quindi difficilmente impiegabili su larga scala.

Le cose però sono cambiate. L’aumento degli sforzi dei vari governi per il taglio – spesso sostanziale e in tempi brevi – delle emissioni di gas serra ha spinto molte aziende ad investire in tecnologie di cattura della CO2, ritenendole l’unico mezzo per “compensare” quelle emissioni che non riescono ad eliminare dalle loro attività.

La compagnia aerea statunitense America Airlines ha per esempio investito in un grande impianto di cattura diretta (direct air capture) in Texas, che permette di rimuovere la CO2 presente nell’aria tramite l’uso di solventi – il processo è chiamato scrubbing – e successivamente di iniettarla sottoterra. La piattaforma di e-commerce canadese Shopify ha cominciato ad investire circa 1 milione di dollari all’anno in startup che sviluppano tecniche di rimozione del carbonio.

COSA DICONO LE NAZIONI UNITE

Le Nazioni Unite sostengono che i paesi potrebbero dover rimuovere tra i cento e i mille miliardi di tonnellate di CO2 dall’atmosfera entro la fine del secolo per evitare gli effetti più gravi dei cambiamenti climatici. È un volume molto superiore a quello che si potrebbe assorbire semplicemente piantando più alberi.

COSA SPERANO LE AZIENDE

Nonostante la crescita dell’interesse nei loro confronti, molte tecnologie di rimozione del carbonio, scrive il New York Times, sono ancora troppo costose perché il loro uso possa davvero imporsi: il costo per la rimozione di una tonnellata di carbonio è spesso di 600 dollari o anche più.

Le aziende sperano che flussi continui di investimenti possano aiutare ad abbassare i prezzi fino a livelli più convenienti – 100 dollari per tonnellata o meno –, in maniera simile a come gli investimenti nell’eolico e nel solare hanno finito per rendere economiche queste fonti energetiche.

COSA TEMONO GLI ESPERTI

Gli esperti temono però che alcune aziende si stiano nascondendo dietro a promesse future di rimozione della CO2 per evitare di tagliare le loro emissioni oggi.

Le tecnologie di cattura e sequestro svolgono un ruolo importante per l’abbattimento delle emissioni in alcuni settori e processi particolarmente difficili da decarbonizzare, per i quali – al momento – non esistono soluzioni alternative: ad esempio la produzione del cemento, il trasporto aereo e quello marittimo. Ma secondo Jennifer Wilcox, che lavora all’Università della Pennsylvania ed è esperta di cattura della CO2, queste tecnologie “non dovrebbero essere una scusa che permette a tutti di continuare ad emettere gas serra a tempo indefinito”.

I PROBLEMI DEI PROGETTI DI COMPENSAZIONE “NATURALI”

Il New York Times scrive che le aziende “dovrebbero per prima cosa fare tutto il possibile per tagliare le loro emissioni”, utilizzando energia prodotta da fonti rinnovabili e investendo nell’efficienza energetica. “La maggior parte delle volte, è più semplice prevenire in partenza le emissioni, che rimuovere l’anidride carbonica dopo che si è diffusa nell’atmosfera”.

Secondo il quotidiano, sarebbe poi preferibile che le aziende non si affidassero esclusivamente o eccessivamente a progetti di carbon offset – cioè di compensazione delle emissioni generate – di tipo “naturale”, come quelli di forestazione. Gli alberi sono sì assorbitori di anidride carbonica, ma le foreste possono bruciare e rilasciare a loro volta CO2 nell’atmosfera.

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