Basterebbe un’analisi costi benefici fatta bene per allocare le risorse disponibili nel modo più efficiente. La stessa Ue predica il principio della neutralità tecnologica.
“Più di mezzo secolo e passato da quando i primi gruppi conservazionisti cominciarono a segnalare i rischi di degrado per ľ’ambiente e le risorse naturali. Dopo sessant’anni questo segnale di allarme è divenuto dottrina comune di quasi tutti gli Stati del mondo. Non per questo la cosiddetta transizione ecologica si annuncia come un pranzo di gala apparecchiato per tutti allo stesso modo, senza costi o sofferenze”. È quanto si legge in un intervento del presidente di Assoambiente Chicco Testa sull’inserto Economia del Corriete della Sera.
FONTI FOSSILI ANCORA DOMINANO
“Secondo i dati rilasciati dall’Agenzia internazionale dell’Energia, carbone, petrolio l e gas assicurano ancora piu dell80% del fabbisogno energetico mondiale (dati consuntivi 2020). Le rinnovabili pesano per il 3%. Il resto è idro, nucleare e biomasse, bruciate ancora in molti Paesi come risorsa fondamentale per il riscaldamento. Dal Duemila a oggi, un ventennio dedicato a mille allarmi e discussioni sull’ambiente, il consumo di combustibili fossili e sceso dell1%, mentre il valore assoluto dei consumi energetici è cresciuto del 30%. In pratica i combustibili fossili sono cresciuti in quantità di un terzo negli ultimi venti anni. Anche solo questo dato dovrebbe calmierare facili entusiasmi e far capire quanto ardua sara la sfida della decarbonizzazione”, scrive Testa.
SEGNALI DI INVERSIONE IN USA ED EUROPA MA NON IN ASIA E AFRICA
“Se nei Paesi più sviluppati si intravedono importanti segnali di inversione della tendenza, con le emissioni di Co2 di Usa ed Europa in diminuzione, questo non e vero per le sterminate popolazioni di Asia e Africa dove i consumi energetici sono ancora ampiamente al di sotto delle medie occidentali, fino a configurare situazioni di vera e propria povertà energetica: più di un miliardo di persone prive di elettricità. L’unico modo per produrre quantità di energia grandi e stabili è il ricorso ai combustibili fossili, oltre al nucleare, che qui trova ancora spazio”, spiega Testa.
LO STRABISMO EUROPEO
“Fra l’altro desta più di una perplessità questo strabismo europeo che con il 9% delle emissioni globali sembra non vede- re cosa succede nel resto del mondo. Ma anche in occidente e in Italia occorre prestare la massima attenzione a come saranno distribuiti costi e vantaggi della transizione. Fino ad oggi non si può certo dire che essa abbia contribuito a ridurre le disuguaglianze e assicurare quella coesione sociale che pure dovrebbe esserne uno degli obbiettivi. Anzi le misure prese, dagli enormi incentivi dati alle rinnovabili, alle tassazioni che si annunciano per finanziare il bilancio europeo, all’imposizione di una border tax sui prodotti ad alto contenuto di carbonio, implicano di fatto la crescita di una sorta di nuove imposte indirette, sotto forma di aumento dei prezzi, con effetti regressivi sulla struttura dell’imposizione fiscale”, prosegue il presidente di Assoambiente.
LA GUERRA TECNOLOGICA
“Ancor più inquietante è la guerra tecnologica senza senso che si manifesta nelle correnti più radicali del movimento ambientalista – ha aggiunto -. Dovrebbe essere facile decidere che l’efficacia di una scelta tecnologica e dei relativi investimenti si misura sulla sua capacità di ridurre l’impatto dei gas climalteranti e non su quanto siano sexy le tecnologie. Basterebbe un’analisi costi benefici fatta bene per allocare le risorse disponibili nel modo più efficiente. La stessa Ue predica il principio della neutralità tecnologica. Non importa di che colore sia il gatto purché acchiappi i topi. Oltretutto questo radicalismo si trova a fare i conti, come ha ben segnalato Federico Fubini, con gli effetti controproducenti di questa cultura del rifiuto. Che Oggi Si rivolta anche contro i nuovi impianti di fonti rinnovabili. Per i prossimi vent’anni di questo parleremo e di questo si nutriranno buona parte delle agende europee. La strada maestra da perseguire è quella del «decoupling». Mantenere un output economico in crescita riducendo il ricorso alle risorse naturali e all’ambiente. Un processo da cui ci si aspetta non inutili ulteriori sacrifici ma una stagione di crescita e di innovazione. E anche un po’ di benessere” ha concluso Testa.