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Cop29

COP29: gli obiettivi sulla finanza climatica, le mosse dei Paesi sudamericani e il ruolo della Cina

In una dichiarazione congiunta alla COP29 di Baku, 25 capi di Stato e di governo dei Paesi che aderiscono alla High Ambition Coalition (Hac) – tra cui Germania, Francia, Spagna, Canada, Kenya, Zambia, Cile, Colombia e alcuni piccoli Stati insulari – hanno ribadito la volontà di aumentare i finanziamenti per l’azione climatica

Si è chiusa a Baku la terza giornata della COP29, con la fine dei lavori del World Leaders Climate Action Summit, il summit dei leader globali sull’azione climatica iniziato ieri. Anche oggi, nell’High Level Segment National Statements, durante una lunga plenaria i capi di Stato e di governo sono intervenuti per delineare il posizionamento del proprio Paese sui temi legati alla lotta al cambiamento climatico.

ALLA COP29 MELONI SPINGE SULLA FUSIONE NUCLEARE

Insieme ai primi ministri di Albania, Edi Rama, Croazia, Andrej Plenkovic, e Grecia, Kyriakos Mitsotakis, la premier Giorgia Meloni è stata tra i pochi leader europei ad intervenire a Baku, con un breve discorso in cui ha illustrato le direttrici della politica energetica del governo, incentrata sulla neutralità tecnologica: “non solo rinnovabili, ma anche gas, biocarburanti, idrogeno, cattura della CO2”.

La premier Meloni ha poi ribadito come l’Italia sia in prima linea nella ricerca sulla fusione nucleare: “intendiamo rilanciare questa tecnologia che potrebbe cambiare le carte in tavola perché può trasformare l’energia da arma geopolitica in una risorsa ampiamente accessibile e nel futuro produrre energia pulita, sicura e illimitata”. Sul tema della finanza, al centro della COP29, la premier non ha annunciato nuovi impegni, ma ha rinnovato il sostegno al Fondo per le Perdite e i Danni e al Fondo Verde per il Clima, ricordando che una parte significativa è destinata all’Africa.

LE NOVITA’ SULLA FINANZA CLIMATICA

È poi circolata tra gli addetti ai lavori una nuova bozza di 34 pagine sul nuovo obiettivo di finanza climatica (New Collective Quantified Goal on climate finance – NCQG). Il documento – solo in parte diverso dalla prima versione preparata sulla base del lavoro del gruppo di esperti (HLEG), definita da esperto ‘troppo timida’ – riflette tutte le proposte ancora sul tavolo; è ancora in discussione e si aspetta in qualsiasi momento una nuova bozza negoziale.

I principali punti di discussione ruotano attorno a fornitori e destinatari idonei, finanziamenti per le perdite e i danni, ripartizione tra prestiti e sovvenzioni, e la coerenza con i principi fondamentali della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), in particolare il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate” e delle “rispettive capacità” (CBDR-RC). L’intento è quello di affrontare le questioni tecniche all’interno del gruppo di contatto, preparando allo stesso tempo le opzioni sulle questioni più politiche da sottoporre al giudizio dei Ministri quando arriveranno a Baku venerdì. Uno dei negoziatori ha dichiarato, informalmente, che, “prima che le cose vadano meglio, andranno peggio”.

LA RICHIESTA DELLE BANCHE DI SVILUPPO

Le banche multilaterali di sviluppo crescono, ma chiedono maggiore ambizione agli investitori. A fronte del promesso aumento del 30% dei finanziamenti per il clima entro il 2030 (per raggiungere 170 miliardi di dollari l’anno), le banche multilaterali di sviluppo (BMS) – tra cui la Banca Mondiale – hanno affermato di ‘passare dalle parole ai fatti‘ sui finanziamenti per il clima, sottolineando però che la loro capacità di intensificare il proprio contributo dipende in larga parte dall’impegno dei loro azionisti, sia industrializzati che in via di sviluppo, ed esortando i Paesi a dimostrare “maggiore ambizione”.

I FINANZIAMENTI PER L’AZIONE CLIMATICA ALLA COP29

È stata siglata una dichiarazione congiunta da parte dei 25 capi di Stato e di governo dei Paesi che aderiscono alla High Ambition Coalition (Hac) – tra cui Germania, Francia, Spagna, Canada, Kenya, Zambia, Cile, Colombia e alcuni piccoli Stati insulari – in cui si ribadisce la volontà di aumentare i finanziamenti per l’azione climatica, agevolare la trasformazione dell’architettura finanziaria internazionale e rafforzare l’impegno a tagliare le emissioni in questo decennio, accelerando la transizione dalle fonti fossili.

ADATTAMENTO: I NUOVI PIANI NAZIONALI (NAP)

Entro il 2025 gli Stati dovranno inviare i nuovi Piani nazionali di adattamento (NAP) con cui vengono presentati i dati, le informazioni e le metodologie di analisi nazionali per definire i percorsi di adattamento (anche a livello locale e settoriale) ai cambiamenti climatici. Durante le consultazioni informali del Subsidiary Body for Implementation (SBI) e poi durante la plenaria di fine giornata, i Paesi meno sviluppati hanno però chiesto incremento del supporto finanziario e tecnico, lamentando la mancata presentazione dei piani da parte di molti paesi a basso reddito, a causa di una carenza di risorse e di strumenti efficaci per la loro preparazione.

ANCHE IL BRASILE PRESENTA IL SUO NDC

Dopo Emirati Arabi Uniti e Regno Unito, anche il Brasile presenta il suo piano, che prevede un obiettivo di neutralità climatica al 2050. Per raggiungerlo, il Paese si impegna a ridurre le emissioni tra il 59 e il 67% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2005, equivalenti a una diminuzione compresa tra 850 milioni e 1,05 miliardi di tonnellate di CO₂ equivalente cumulative. Inoltre, è aumentata l’ambizione per la riduzione delle emissioni assolute al 2030, dal 13% dei vecchi NDC al 29%.

L’ARGENTINA RITIRA I SUOI DELEGATI

Nelle ultime ore sta trapelando la notizia di negoziatori argentini che, in rappresentanza del governo di Javier Milei, sono usciti dalle sale negoziali, richiamati dal vertice COP29 dopo soli tre giorni. A fianco alla rielezione di Trump, questa notizia sta alimentando in molti preoccupazioni sulla stabilità dell’Accordo di Parigi. Il leader di estrema destra argentino aveva precedentemente definito la crisi climatica una ‘menzogna socialista’ e minacciato il ritiro dell’Argentina dall’Accordo di Parigi, ritrattando però poi l’intenzione.

LE MOSSE DELLA CINA

Le negoziazioni sembrano in questi giorni caratterizzate da un attivismo da parte della Cina. Subito dopo l’elezione di Trump come 47esimo presidente degli Stati Uniti, molti analisti avevano ipotizzato che nel caso di una politica climatica scettica o addirittura di un ritiro dall’Accordo di Parigi e dall’UNFCCC, si sarebbe aperto uno spazio di potere che la Cina avrebbe potuto sfruttare, anche per consolidare una nuova posizione internazionale e un ruolo di spicco nelle catene del valore legate alle tecnologie verdi.

Queste previsioni si stanno rivelando realistiche durante la COP29, dove la Cina sta acquisendo sempre più le vesti di leader per la transizione energetica. Solo oggi, Hua Wen, vicedirettore generale del Dipartimento per la conservazione delle risorse e la protezione ambientale, ha dichiarato che la determinazione della Cina nella transizione energetica è ‘incrollabile‘.

IL MERCATO DI SCAMBIO DI EMISSIONI CINESE

Questa posizione rappresenta le molte politiche domestiche adottate da Pechino negli anni recenti. Nel 2021, sullo stile dell’ETS (Emission Trading System) europeo, la Cina ha lanciato il più grande mercato di scambio di emissioni di carbonio a livello globale (che copre circa 4 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno, in continua espansione), lanciato nel 2021 sullo stile dell’europeo ETS (Emission Trading System).

Dal 2025, oltre al settore energetico, includerà le industrie dell’acciaio, dell’alluminio e del cemento, arrivando a coprire il 60% delle emissioni nazionali. La differenza sostanziale con il mercato del carbonio europeo, però, risiede nel fatto che quello cinese è un mercato basato non sulle emissioni totali, ma sull’intensità di carbonio (ovvero le emissioni prodotte per unità di output), incentivando quindi a un efficientamento energetico e allo spostamento verso fonti di energia a più bassa intensità di carbonio, più che a una riduzione assoluta delle emissioni.

Parallelamente, la Cina ha da anni avviato una massiccia espansione delle energie rinnovabili, raggiungendo il primato di maggior produttore di pannelli solari al mondo e di principale mercato per le tecnologie legate alle energie rinnovabili e per i veicoli elettrici. L’aumento della produzione di energia rinnovabile in Cina nel 2023 ha rappresentato il 40% dell’espansione delle energie rinnovabili globali.

PECHINO STA ASSUMENDO UNA POSIZIONE NEGOZIALE FORTE

Con questa base, la Cina sta conquistando una posizione negoziale forte alla COP29. Da un lato, difende a gran voce il multilateralismo, criticando le politiche unilaterali e protezioniste come “un’ingiustificabile discriminazione” (e ha tentato, invano, di far inserire il CBAM – il meccanismo europeo di aggiustamento del prezzo dei beni in base all’intensità carbonica ai confini – nell’agenda negoziale).

Dall’altro, sostiene la posizione dei Paesi in via di sviluppo sul nuovo obiettivo di finanza climatica (NCQG), affermando che una ridiscussione della base dei donatori – che la vedrebbe esplicitamente diventare parte di questo gruppo – sposterebbe l’attenzione dalla questione più importante: l’ambizione del sostegno che i paesi industrializzati devono a quelli a basso e medio reddito.

Informalmente, però, alcuni negoziatori hanno affermato che il tentativo di inserire esplicitamente la Cina all’interno della lista dei donatori potrebbe essere controproducente: Pechino, infatti, dal 2016 ha già mobilitato 24,5 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima verso i Paesi in via di sviluppo, posizionandosi come sesto maggiore donatore globale di finanziamenti per il clima, dopo Giappone, Germania, Francia, Stati Uniti e Regno Unito. Consapevole della propria forza negoziale, oggi il vicepremier cinese Ding Xuexiang ha chiesto fermamente ai Paesi sviluppati di aumentare il loro sostegno finanziario, dividendo le risorse in modo equo (50-50) tra mitigazione e adattamento.

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