Con lo stop ai pannelli si rischi un effetto domino sui costi dell’energia mentre per la ripartenza dell’ex Ilva servono altri 330 milioni. Da deroghe e rinvii superbonus una spesa di 66 miliardi: la rassegna dei giornali
Potrebbe innescarsi un effetto domino, con rialzi dei costi di realizzazione dei nuovi impianti e un aggravamento normativo e amministrativo, oltre alla difficoltà di raggiungimento dei target. Portando a rendere più cara l’energia prodotta dal fotovoltaico a terra. È l’allarme lanciato da Elettricità Futura sull’impatto dello stop all’installazione degli impianti fotovoltaici a terra nei terreni ad uso agricolo. Chicco Testa, dalle pagine de Il Foglio propone di differenziare il prezzo di ritiro dell’energia prodotta, incentivando maggiormente quella realizzata sulle coperture degli edifici, nelle aree industriali e in quelle degradate. Intanto arriva il piano per la ripartenza di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria. Servono 330 milioni secondo la presentazione ieri a Roma, in Confindustria, ai sindacati, del dg dell’azienda, Giuseppe Cavalli, e del direttore delle risorse umane, Claudio Picucci. Infine il superbonus: “La spesa per il bonus edilizio più generoso d’Europa non solo non si è ristretta. Al contrario è esplosa durante i 18 mesi della destra al governo. Sui 117,2 miliardi di investimenti ammessi a detrazione fino a fine marzo, ben 66 fanno riferimento al governo Meloni, si può dedurre dalla ricostruzione dell’Ufficio parlamentare di bilancio”, scrive La Repubblica.
ENERGIA, CON LO STOP AI PANNELLI SI RISCHIA L’EFFETTO DOMINO SUI COSTI
“«Potrebbe innescarsi un effetto domino, con rialzi dei costi di realizzazione dei nuovi impianti e un aggravamento normativo e amministrativo, oltre alla difficoltà di raggiungimento dei target. Con questa decisione si renderebbe più cara l’energia che costa meno in assoluto, quella prodotta dal fotovoltaico a terra». Elettricità Futura ha diffuso una nota ieri con la quale analizza a freddo l’impatto dello stop all’installazione degli impianti fotovoltaici a terra nei terreni ad uso agricolo deciso con il decreto Agroalimentare, il quale consente solo l’installazione di pannelli di agrivoltaico, elevati di un paio di metri rispetto al terreno”. È quanto si legge su Il Sole 24 Ore di oggi. “«L’elettricità prodotta con gli impianti fotovoltaici utility scale, infatti, costa un terzo dell’elettricità generata dagli impianti fotovoltaici residenziali sui tetti – si spiega -. Questo finirebbe col danneggiare anche le imprese energivore, perché servono i grandi impianti rinnovabili per stipulare contratti di lungo periodo per dare energia a basso costo alle imprese manifatturiere. Il rischio, concreto, è che vengano vanificate anche altre misure avviate da questo governo come, ad esempio, l’Energy Release e i provvedimenti per lo sviluppo dell’idrogeno». Dunque, preoccupa l’impatto sul prezzo dell’energia elettrica in Italia. (…)”, si legge sul quotidiano.
“Il provvedimento Energy Release è stato varato da questo governo nel 2022 (e impostato dal precedente) per calmierare i costi dell’energia per le imprese energivore, destinando direttamente la produzione da rinnovabili (meno cara) a questi consumi. «Anche quella che oggi sembrerebbe un’apertura – poter fare gli impianti nelle zone industriali, nelle cave, nelle miniere, nelle aree portuali e di pertinenza di autostrade e ferrovie – non tiene conto del fatto che queste fattispecie sono già state normate in precedenza dai vari decreti semplificazioni avviati nel 2022 e nel 2023» prosegue la nota, sottolineando che sarebbe invece necessario varare l’atteso Testo Unico per le autorizzazioni, atteso da giugno 2023. (…)”.
“Sull’impatto del decreto Agroalimentare ieri è intervenuto anche il presidente di Utilitalia, Giordano Colarullo, per il quale il «divieto dell’agrivoltaico a terra, è a un danno per l’Italia. Nessuno vuole una conversione selvaggia dei terreni agricoli, ma andrebbe fatto un ragionamento sulle aree agricole non più in produzione, che potrebbe essere conveniente convertire al fotovoltaico. Invece il divieto generalizzato non permette valutazioni economiche, non ha la flessibilità necessaria». (…)”, ha concluso il quotidiano.
ZONE AGRICOLE SOVRANE? NO, GRAZIE. IL FOTOVOLTAICO SPIEGATO A LOLLOBRIGIDA
“Lo scorso weekend il ministro Lollobrigida ha pensato bene di agitare tutto il mondo dell’energia rendendo pubblica, tanto per cambiare d’intesa con la Coldiretti, una proposta di legge che vieta l’installazione di impianti fotovoltaici “a terra” nelle zone agricole”. È quanto scrive Chicco Testa sulla pagine de Il Foglio. “(…) Sarebbero però ora salvati, ultime notizie, i cosiddetti impianti agrofotovoltaici, a cui peraltro il Pnrr devolve consistenti investimenti. La differenza fra un impianto tradizionale e questa tipologia è che la seconda colloca i pannelli solari a una certa altezza, 3/4 metri, in modo da conservare sotto, si dice, le possibili attività agricole. (…) Anche ammesso che la sovranità alimentare sia uno scopo ragionevole, i terreni agricoli che veramente possono concorrere a questo obbiettivo sono concentrati in poche zone del paese e in alcune colture. Diversa invece è la questione dal punto di vista paesaggistico. Infatti a Lollobrigida è subito arrivata la solidarietà del collega responsabile del ministero della Cultura. Da questa prospettiva è assai discutibile che impianti alti 4 metri siano visivamente meno impattanti di impianti a terra. Inoltre sempre di più i nuovi progetti tendono a concentrarsi in aree sensibili per diverse ragioni. Dove c’è un’agricoltura ricca non c’è grande entusiasmo e nelle aree interne dove l’agricoltura è più povera sono però cresciute importanti attività turistiche o attività agricole di nicchia, che si sentono a ragione minacciate da modificazioni permanenti del paesaggio. Si tratta di migliaia di agriturismi, per esempio, che rappresentano in molti casi il reddito principale di molti ex contadini. (…) Stupisce peraltro l’assoluta indifferenza delle principali associazioni ambientaliste, con l’eccezione di Italia Nostra e degli Amici della Terra, sempre pronte a dire di no a mille altre cose utili e onestamente molto meno impattanti. (…) Intanto Ispra continua a segnalare che l’intero obbiettivo del Pniec potrebbe essere raggiunto installando pannelli sui tetti dei capannoni agricoli e industriali, sulle tettoie dei parcheggi e in altre aree degradate oltre che nelle abitazioni non interessate da vincoli. Forse potrebbe bastare differenziare il prezzo di ritiro dell’energia prodotta, incentivando maggiormente quella realizzata sulle coperture degli edifici, nelle aree industriali e in quelle degradate. Certo adesso la redazione delle cosiddette aree idonee, attesa da tempo, diventa ancora più difficile”, conclude.
EX ILVA, PER LA RIPARTENZA PIANO DA 330 MILIONI
“Dopo il piano industriale presentato il 29 aprile ai sindacati a Palazzo Chigi e inviato l’altro ieri alla Commissione Ue per ottenere l’ok al prestito ponte da 320 milioni, ecco il piano per la ripartenza di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria. Quota 330 milioni e lo hanno presentato ieri a Roma, in Confindustria, ai sindacati, il dg dell’azienda, Giuseppe Cavalli, e il direttore delle risorse umane, Claudio Picucci. I 330 milioni sono divisi in 230 di interventi urgenti e in 100 per il raddoppio della produzione. Inoltre, 280 milioni sono concentrati su Taranto e 50 sugli altri stabilimenti del gruppo. Lo sviluppo delle azioni riguarderà l’acquisto dei ricambi chiave per garantire la continuità operativa, la rimozione degli impedimenti alla piena funzionalità e il ripristino dei backup necessari per gli impianti prioritari”. È quanto si legge su Il Sole 24 Ore di oggi. “(…) La produzione a Taranto parte da 1,5 milioni di tonnellate annue ed arriverà dopo l’estate a 4 milioni con la partenza del secondo altoforno. Sempre a Taranto sarà attivo un treno di laminazione a caldo, mentre il laminato a freddo andrà a Genova, che raggiungerà dopo l’estate 450mila tonnellate annue; 600mila, invece, a Novi Ligure. In particolare, la media di produzione mensile di bramme grezze a Taranto passerà da 140mila tonnellate di gennaio-agosto 2024 a 280mila di settembre-dicembre prossimi. (…)”, conclude il quotidiano.
SUPERBONUS, LA SPESA ESPLOSA CON MELONI. DEROGHE E RINVII CI COSTANO 66 MILIARDI
“Chissà se stamattina Giancarlo Giorgetti riuscirà dove fino ad ora ha sempre fallito. Se cioè, davanti ai senatori della commissione Finanze, difenderà l’ennesimo decreto “blocca-Superbonus” dalle richieste di deroga alla stretta. Rivendicato dal ministro dell’Economia, lo stop. Evaporato però nei fatti e nei numeri. E non solo nelle aule parlamentari, come si vuol far credere. Tutto inizia in via XX Settembre. Qui vengono scritti i sei provvedimenti “groviera” targati Meloni. Talmente pieni di buchi e scappatoie da far lievitare deficit e debito. Per poi lamentarsi di malasorte, eredità politiche e colpe dei tecnici”. È quanto si legge su La Repubblica di oggi. “I numeri fanno chiarezza. La spesa per il bonus edilizio più generoso d’Europa non solo non si è ristretta. Al contrario è esplosa durante i 18 mesi della destra al governo. Sui 117,2 miliardi di investimenti ammessi a detrazione fino a fine marzo, ben 66 fanno riferimento al governo Meloni, si può dedurre dalla ricostruzione dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Quasi il doppio di quanto resta in capo ai due esecutivi precedenti, Conte II e Draghi. E nel conteggio c’è da aggiungere la coda di inizio aprile, non registrata da Upb. (…) Ma chi ha lasciato quei varchi aperti? Chi ha vanificato la lotta al «mostro abnorme» lanciata da Giorgetti? Il governo Meloni, insediato da pochi mesi a fine 2022, interviene due volte sul Superbonus, con un decreto legge e nella sua prima legge di bilancio. (…) Conti sballati. Al punto che al Mef è partita la grande “caccia” al colpevole, fino ad individuare il capro espiatorio nel Ragioniere dello Stato Biagio Mazzotta. A lui Giorgetti rimprovera mancati alert. Ma lui, il Ragioniere, sostiene il contrario: decreto dopo decreto, ha informato costantemente il ministro sui rischi legati alle deroghe. (…) Se per salvare i “diritti acquisiti” si devastano i conti e si mette a rischio la spesa sociale, «l’unica via che rimarrebbe da percorrere sarebbe l’eliminazione del Superbonus prima della sua naturale scadenza» nel 2025. Lo dice Bankitalia, avvertendo che «l’esperienza del decreto 11 dello scorso anno sembrerebbe sconsigliare allentamenti rispetto al testo originale». Chissà se oggi Giorgetti lo farà capire ai senatori”, conclude il quotidiano.