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Russia Gas Germania

Gas, nel risiko mondiale Russia sempre più protagonista

Da Nord Stream 2 a Tap e Tanap, passando per Turkish Stream, Egitto e Cina. Mosca controlla di fatto la stragrande maggioranza delle risorse e le vie di transito ponendosi al centro della scena mondiale

 

Lo scenario strategico degli approvvigionamenti nel settore gas sembra destinato a cambiare assetto nei prossimi anni. Da un lato, le sanzioni varate dall’Europa contro la Russia hanno creato le condizioni per un riassetto geopolitico e dall’altro la stessa Mosca, viste le difficoltà nei rapporti con i paesi occidentali, sta ipotizzando di dirottare gran parte delle sue risorse verso la Cina. In questo risiko, l’Europa lavora per garantirsi una maggiore indipendenza proprio dal Cremlino.

Il caso del Nord Stream 2

Nordstream 2 L’ultima spallata ha riguardato il Nord Stream 2, il raddoppio del gasdotto sotto il Baltico, che aumenterebbe la dipendenza europea dal metano russo. Il progetto è sotto il tiro incrociato di possibili sanzioni americane e di una diffusa opposizione in Europa: non da ultima una bozza di documento della Commissione Ue che affossa l’infrastruttura con le stesse motivazioni che silurarono a suo tempo il progetto gemello del South Stream. Gazprom, infatti, non può, secondo la normativa europea, essere proprietaria del gasdotto e del metano che vi transita. Deve aprirsi a possibili concorrenti. In più, deve garantire di non chiudere i gasdotti che passano attraverso l’Ucraina.

La posizione russa al contrario è chiarissima. Nord Stream 2, nella parte che corre sotto il Baltico, è fuori dalla giurisdizione europea e dai suoi vincoli. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, qualche giorno fa alla Tass, ha spiegato che “la rotta di transito per il gas verso l’Europa dopo il 2020” (alla scadenza cioè dei contratti con l’Ucraina) – sarà quella “quella più profittevole per il venditore, ovvero la Russia, e per i suoi clienti, i paesi dell’Europa occidentale”. Per la Commissione europea, al contrario, il gasdotto non può operare contemporaneamente sotto due giurisdizioni diverse, europea e russa.

Per il momento il giudizio di Bruxelles è solo una bozza e una decisione vera e propria è attesa per le prossime settimane, tenendo conto anche del fatto che il 24 settembre ci saranno le elezioni in Germania e i tedeschi sono i primi ad essere interessati alla vicenda. Il progetto aveva già subito un duro colpo qualche mese fa quando, per iniziativa dei polacchi gli anglo-olandesi di Shell, i francesi di Engie, i tedeschi di Uniper e Wintershall e gli austriaci di Omv, tutti soci al 50 per cento di Gazprom, avevano dovuto ritirarsi dall’impresa, lasciandola tutta nelle mani dei russi e limitandosi a finanziarla. Ma anche questa operazione è adesso sotto la lente d’ingrandimento dopo le sanzioni anti-Putin varate, contro il parere di Trump, dal Congresso Usa e specificamente dirette contro gli investimenti energetici.

I progetti di fornitura russi verso Europa e regioni confinanti

South Stream In tal tale contesto si inseriscono i progetti di realizzazione dei due gasdotti Tap e Tanap che collegheranno direttamente l’Italia (e non solo) con il Caspio e il giacimento azero di Shah Deniz passando prima per la Turchia e poi per Grecia e Albania. Insomma, il corridoio meridionale che i russi volevano realizzare con  il South Stream è ora osteggiato da Mosca che desidera conservare il monopolio delle vie di transito dirette a ovest. Anche se stavolta il Cremlino potrebbe decidere addirittura di allearsi con l’Azerbaijan e con la Turchia per trasformare la nuova via in una risorsa per le sue esportazioni. Dal punto di vista dei turchi, che comprano il 56,7% del loro gas dai russi, diversificare gli approvvigionamenti con altri fornitori, costituirebbe un incremento della sicurezza. Ankara ha già dichiarato che sono stati completati due terzi del tragitto del Tanap e la Banca Mondiale ha appena garantito un prestito da 400 milioni di dollari alla Botas (la compagnia energetica dello Stato turco) per completare l’infrastruttura da 2 miliardi mc di gas all’anno (la capacità definitiva sarà di 6 mld). Il Tanap dovrebbe terminare addirittura prima i lavori e diventare operativo dal prossimo anno invece che nel 2019 come previsto, con un calo dei costi da 11,7 a 8,5 miliardi di dollari. Un discorso simile a quello che sta accadendo per Tap: i soci del consorzio hanno dichiarato che costerà 1,5 miliardi in meno del previsto raggiungendo i 4,5 miliardi euro quando sarà completato nel 2020. Vista la sua capacità di trasporto pari a 10 miliardi di mc però, il consorzio dei costruttori sta valutando altre offerte di rifornimento come quella che potrebbe arrivare ancora una volta da Gazprom, attraverso il Turkish Stream: il gasdotto che raggiungerà la Turchia attraverso il Mar Nero, potrebbe allacciarsi direttamente al Tanap e al Tap, garantendo ancora una volta ai russi di metterci lo zampino.

Un nuovo protagonista: L’Egitto

Sul mercato internazionale si sta però affacciando un nuovo protagonista, l’Egitto. Dopo l’individuazione del maxi-giacimento di Zohr (da parte di Eni) di fronte alle sue coste mediterranee, sembra che il paese nordafricano sia sul punto di annunciare altre scoperte importanti. L’intenzione del Cairo è quella di dirottare il flusso di gas verso l’export utilizzando gli impianti Gnl. Ma in questa partita è centrale ancora una volta l’alleanza che il Cremlino ha stretto con gli egiziani attraverso la russa Rosneft che ha acquistato il 30% delle azioni del giacimento di Zohr.

Mosca e il Kurdistan iracheno

gasIntanto sempre Rosneft sta pensando a un accordo con il Kurdistan iracheno per realizzare un nuovo gasdotto da lanciare nel 2019 per esportare gas in Turchia e in Europa. “Le parti – comunica una nota dell’azienda russa – hanno parlato della partecipazione di Rosneft al progetto su cui si prevede la firma entro la fine dell’anno”. Il gasdotto dovrebbe garantire forniture fino a 30 miliardi di metri cubi di gas all’anno non solo per i principali consumatori domestici della regione e per le centrali elettriche ma anche per l’export a partire dal 2020.

La Russia guarda verso est

Ad est si profila intanto un vero e proprio patto d’acciaio tra Cina e Russia dal punto di vista energetico. Al momento Pechino è quasi totalmente dipendente da Golfo Persico e Africa per le sue risorse energetiche che potrebbero aumentare dagli attuali 39 miliardi di metri cubi all’anno a 170 miliardi di metri cubi nel 2035. Gazprom sta realizzando Power of Siberia, una conduttura che pomperà il gas del giacimento siberiano di Chayanda e di Kovykta fino ad arrivare a Khabarovsk e poi Vladivostok. Da qui il gasdotto dovrebbe proseguire fino al confine cinese. Secondo la China National Petroleum Corporation, l’accordo è già fatto, e il gasdotto diventerà completamente operativo nel 2020. Per ora, secondo quanto riferisce Reuters, Gazprom pensa di poter fornire alla Cina entro il 2020, 4,6 miliardi di metri cubi di gas destinati ad aumentare gradualmente a 38 miliardi di metri cubi nel 2025, secondo quanto riferito da Vsevolod Cherepanov, un membro del consiglio di amministrazione di Gazprom.

Iran e India

L’avversario maggiore di Mosca in terra cinese è però Teheran che è pronta a inondare con le sue risorse l’intera Asia. Da anni si discute di unire con un gasdotto Cina e Iran. Pechino sarebbe disposta a sborsare  miliardi di dollari nel progetto, bloccato solo dal Pakistan che si frappone tra i due paesi. Ma in questa partita non bisogna dimenticare l’India che ha in cantiere un progetto da 7 miliardi di dollari per pompare gas dall’Iran attraverso un gasdotto da 1.300 km quasi interamente sottomarino. Le Camere di Commercio Associate dell’India (Assocham India) hanno presentato un progetto per bypassare il Pakistan e collegare Iran e Oman con le sue reti. L’Iran ha firmato nel 2013 un accordo per la fornitura di gas all’Oman in un’intesa del valore di 60 miliardi di dollari in 25 anni. Nel febbraio di quest’anno, i due paesi hanno inoltre dichiarato di aver accettato di cambiare la rotta del gasdotto per evitare le acque controllate dagli Emirati Arabi Uniti.

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