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Rame

Per Wood Mackenzie bisogna investire di più nei metalli critici

Wood Mackenzie pensa che le aziende minerarie debbano investire 1700 miliardi in quindici anni per garantire un’offerta adeguata dei metalli critici per la transizione energetica

Secondo la società di consulenza Wood Mackenzie, le aziende minerarie dovranno investire circa 1700 miliardi di dollari nei prossimi quindici anni per garantire un’offerta adeguata di rame, cobalto, nichel e degli altri metalli necessari alla transizione energetica e alla mobilità elettrica.

IL RUOLO DEI METALLI NELLA TRANSIZIONE ENERGETICA

Gli obiettivi che molti governi nel mondo si sono dati per la riduzione delle emissioni di gas serra – il loro azzeramento netto generalmente entro il 2050, con un taglio sostanziale al 2030 – richiederanno infatti una diffusione su larga scala di veicoli elettrici e di sistemi di stoccaggio per l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Che, a loro volta, dovranno essere prodotti a partire da materiali come l’alluminio o da metalli come il litio e il cobalto.

LE RESISTENZE DELLE SOCIETÀ MINERARIE

Julian Kettle, analista di Wood Mackenzie, pensa però che “a livello di settore, sembra esserci reticenza ad investire un capitale sufficiente per sviluppare l’offerta futura al ritmo e alla scala richiesti dalla transizione energetica”.

Le aziende minerarie resistono cioè all’idea di realizzare grandi investimenti per via di quanto successo in passato: circa una decina d’anni fa avevano investito in nuova capacità proprio mentre la domanda arrivava al suo picco; la sua diminuzione portò ad un crollo dei prezzi e dei profitti.

Già il mese scorso l’amministratore delegato della società anglo-cilena Antofagasta aveva detto di credere che le aziende sarebbero state caute nell’investire in nuovi progetti sull’estrazione di rame, avendo imparato la lezione dai precedenti “supercicli” delle materie prime.

RISCHI DI INSOSTENIBILITÀ

Per queste aziende, inoltre, aumentare la spesa è complicato da altri due motivi: il primo sono le pressioni degli investitori, che chiedono maggiori dividendi; il secondo è la difficoltà di conciliare l’estrazione mineraria ai criteri di sostenibilità ambientale, sociale e di governance (ESG).

Il rischio di “insostenibilità” dell’estrazione mineraria è di solito basso in paesi come l’Australia, il Canada e l’Europa occidentale. Alcune delle migliori riserve di metalli per la transizione energetica si trovano però in aree giudicate ad alto rischio secondo i criteri ESG: per esempio, circa la metà delle riserve mondiali di cobalto si trova nella Repubblica democratica del Congo, dove l’attività mineraria è spesso associata a violazioni dei diritti umani e sfruttamento minorile.

IL RUOLO DI INVESTITORI E GOVERNI

Kettle ha detto che “considerata la necessità di soddisfare gli obiettivi ambiziosi di decarbonizzazione e di ESG, i governi occidentali, gli enti di credito, gli investitori e i consumatori dovranno abituarsi ad operare in giurisdizioni in cui le questioni ESG sono più complesse”.

Per permettere alle aziende minerarie di operare in zone ad alto rischio in una maniera che sia accettabile per i consumatori, Kettle pensa che il sostegno dei governi sia necessario.

“Solo allora”, dice, “l’Occidente sarà in grado di assicurarsi volumi sufficienti delle materie prime necessarie a perseguire la transizione energetica nei tempi previsti”.

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