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La direttiva Seveso? Non si applica al Tap

Sulla querelle interviene Francesco Bruno, docente di Diritto ambientale alla Sapienza e all’università del Molise: non si sono motivi giuridici per mettere in discussione il progetto

La direttiva Seveso in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali non va applicata al gasdotto Trans Adriatic Pipeline (Tap) in corso di realizzazione in Puglia. Dopo le sentenze definitive della magistratura amministrativa e ordinaria – Tar Lazio, Consiglio di Stato e Tribunale di Lecce – che si sono espresse sulla questione a più riprese a partire dal 2016, arriva ora il parere di un’autorevole esperto come Francesco Bruno, docente di Diritto ambientale alla Sapienza e all’università del Molise che in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno, torna a ribadire l’esclusione del Terminale di ricezione del gas di Tap dalla Direttiva Seveso.

La polemica riesplosa dopo l’incidente in Austria

La polemica sul Tap era esplosa di nuovo i primi giorni di dicembre, all’indomani dell’incidente all’impianto gas di Baumgarten an der March, in Austria, con un botta e risposta tra il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano e il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Secondo il governatore pugliese, che si era detto pronto a presentare un esposto in Procura contro la decisione del governo di escludere dalla Direttiva Seveso l’impianto di San Foca, “l’impianto in costruzione a Meledugno ha profili di pericolosità simili all’impianto austriaco. Il Tap non è stato assoggettato al Decreto Seveso, perché sennò avrebbe rallentato i lavori. Io segnalo che il comandante dei Vigili del Fuoco che a Lecce disse che si doveva applicare la Seveso fu trasferito nel giro di pochi giorni”, le parole di Emiliano.

Per il professor Francesco Bruno il governatore Emiliano sbaglia a insistere

In realtà, come sottolinea anche Bruno “non si sono motivi giuridici per mettere in discussione il progetto Tap”. Sulla Seveso “c’è stata una sentenza del Tar Lazio confermata dal consiglio di Stato, e un provvedimento del gip di Lecce. Sostengono che l’impianto di Melendugno – cosiddetto Prt – non deve essere assoggettato a direttiva Seveso. Peraltro – aggiunge il docente – il ministero dell’Ambiente si era rivolto alla commissione europea. Bruxelles ha replicato che nel caso in cui il Prt sia realizzato al di fuori di uno stabilimento chiuso (è il caso di Tap) si deve escludere l’applicazione della direttiva Seveso. C’è stata un’altra diatriba circa la possibile manipolazione del gas nel Prt – per esempio il passaggio da stato liquido a gassoso o viceversa – ma questa è esclusa. Anche per questo, la normativa citata non va applicata”. Stesso discorso per la minaccia di Emiliano di rivolgersi alla procura della Repubblica che a parere di Bruno non trova fondamento: “Ci sono gli interventi di tre ministeri (Ambiente, Sviluppo, Interni) che hanno autorizzato l’impianto, senza applicare la normativa Seveso – ha sottolineato il docente della Sapienza –. Però non significa che l’autorizzazione non sia sufficientemente severa a tutela dei cittadini. Ciò detto: Emiliano potrebbe avere – questo non lo so – evidenze di mancanze di misure di salvaguardia: in questo caso potrebbe intervenire. Diversamente, sembra difficile che tre ministeri e anche la Ue siano intervenuti senza considerare le ricadute su salute e ambiente”.

Cosa dicono Tar Lazio, Consiglio di Stato e Tribunale di Lecce

Scorrendo la sentenza del Tribunale amministrativo, non sembrano esserci possibilità di riapertura della questione: la magistratura ammette, per esempio, che il problema dell’applicabilità della normativa “Seveso” era emerso “sin dall’inizio dell’esame del progetto” tanto che la stessa Commissione VIA/VAS, in un parere reso il 29 agosto 2014, aveva inserito una prescrizione “in forma dubitativa”. Successivamente il Mise aveva chiesto un approfondimento specifico sull’assoggettabilità alla “Seveso” del PRT, cioè il Terminale di ricezione del gas, ai ministeri dell’Interno e dell’Ambiente, per la loro competenza in materia di sicurezza sugli impianti a rischio di incidente rilevante. Il ministero dell’Ambiente, a sua volta, si rivolse per un parere alla Commissione Ue che il 21 ottobre del 2014 non escluse “che i PRT possano essere localizzati fuori da stabilimenti e quindi essere esclusi dall’applicazione della normativa ‘Seveso’”. Mentre il Viminale con una nota del 25 novembre 2014 ritenne il PRT del progetto TAP “non assoggettabile alla normativa ‘Seveso’ ciò anche alla luce di quanto espresso dall’Ue. Al termine dell’attività istruttoria, i tre dicasteri ritennero dunque superata la prescrizione sulla base del presupposto che il terminale di ricezione “non rientrasse nella nozione di stabilimento” trattandosi invece “di un elemento connesso con il sistema di trasporto gas” e quindi “escluso dall’applicazione di tale normativa”. Una posizione poi recepita dal Consiglio dei ministri del 10 aprile 2015.

Non solo. Per i ricorrenti, cioè la Regione Puglia, il Prt andava assoggettato alla Seveso perché vi si sarebbe svolta un’attività di manipolazione del gas – che consiste nella variazione di pressione e riscaldamento del combustibile che proviene dall’Albania sotto forma gassosa – tale da far ricondurre il terminale nella nozione di impianto. Tuttavia, scriveva la magistratura amministrativa “tale limitata attività di riscaldamento del gas naturale proveniente nello stato gassoso dall’Albania non è assimilabile ad un’attività di manipolazione, soprattutto se si considera che questa (manipolazione) si ha piuttosto quando, nel processo di rigassificazione (ad esempio), il gas naturale dallo stato liquido (che comporta una rilevante attività di pressurizzazione in cui il gas raggiunge una temperatura negativa di 163°C) ritorna a quello gassoso, in quanto ciò necessita di una attività di vaporizzazione che, agendo sulla temperatura, lo riscalda fino a portarlo a valori di temperatura positivi, necessari per poter essere immesso nella rete di distribuzione. Nulla di tutto questo avviene nel caso di specie, in quanto si tratta di una attività che comporta una depressurizzazione ed un riscaldamento limitati del gas naturale, al dichiarato scopo di poterlo immettere nella rete nazionale di distribuzione, che non snatura l’attività svolta che rimane di trasporto nella misura in cui si tratta di un’inevitabile operazione per rendere compatibile la sostanza nel passaggio dalla fase di mero trasporto a quella distributiva”. Da qui il Collegio ha ritenuto che le conclusioni raggiunte dalle amministrazioni statali e dall’Ue “non siano irragionevoli”. E anche invocando il principio di precauzione comunitario “ciò non può arrivare a far ritenere il PRT del progetto TAP assoggettabile alla normativa ‘Seveso’”. Conclusioni avallate anche dal Consiglio di Stato che ha di nuovo evidenziato come l’attività di variazione della pressione e di riscaldamento effettivamente svolta nel PRT, “è limitata” e “non può essere assimilata ad un’attività di manipolazione”.

Stesso discorso anche per la richiesta di archiviazione della Procura di Lecce dove le indagini effettuate, realizzate, anche mediante l’utilizzo di consulenti, hanno portato a concludere per la non applicabilità della direttiva Seveso “sulla base di motivazioni ed argomentazioni che si ritengono pienamente condivisibili” e basate sul fatto che questa normativa “non trovi applicazione con riguardo al gasdotto” visto che la normativa “esclude” dall’applicazione il “trasporto di sostanze pericolose in condotta, comprese le stazioni di pompaggio, al di fuori degli stabilimenti”. Conseguente, si legge nella richiesta di archiviazione “la non assoggettabilità” vale anche per il terminale di ricezione gas (Prt) “poiché lo stesso deve ritenersi un impianto accessorio per il trasporto del gas in condotta e non rientrante nella definizione di ‘stabilimento’”. Infatti, si legge ancora, “all’interno del PRT non si effettuano trasformazioni di stato del gas naturale ma unicamente variazioni dei parametri di temperatura e pressione al fine di permettere l’immissione del gas nella rete di trasporto nazionale”. Viene riportata, inoltre, la nota dell’Ufficio del Capo del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco del 2015 secondo cui risulta che “la quantità massima di gas potenzialmente presente nel PRT è pari a 48,6t, inferiore quindi alla soglia di 50t che determina l’assoggettabilità” alla Seveso.

melendugno tapCos’è la Direttiva Seveso

L’incidente di Seveso – avvenuto il 10 luglio 1976 nell’azienda ICMESA di Meda, che causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube della diossina in Brianza – ha spinto gli Stati dell’Unione europea a dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali a partire dal 1982. La direttiva Seveso (direttiva europea 82/501/CEE, recepita in Italia con il DPR 17 maggio 1988, n. 175 nella sua prima versione) impone innanzitutto agli Stati membri il censimento degli stabilimenti a rischio, con identificazione delle sostanze pericolose, poi l’obbligo ad ogni azienda di questo tipo di avere un piano di prevenzione e un piano di emergenza, la cooperazione tra i gestori per limitare l’effetto domino,  il controllo dell’urbanizzazione attorno ai siti a rischio, l’informazione degli abitanti delle zone limitrofe,  l’esistenza di un’autorità preposta all’ispezione dei siti a rischio (ARPA, Vigili del fuoco, CTR). Nel 1999 intervenne la cosiddetta Seveso II che introdusse un cambiamento nel sistema di approccio ai sistemi di sicurezza nell’ambito industriale diminuendo il numero di sostanze definite materie pericolose da 180 a 50 e affiancando loro una lista di classi di pericolosità.

Dopo l’incidente di una fabbrica di fertilizzanti a Tolosa che causò uno sversamento di nitrato d’ammonio venne emanata la Seveso II bis, che introdusse nuovi limiti per le aziende che detengono nitrato di ammonio, materiale pirotecnico e per le aziende minerarie, oltre all’abbassamento dei valori limite per le sostanze tossiche e l’innalzamento dei limiti per le sostanze ritenute cancerogene. Nel 2015 infine è arrivata la nuova edizione della direttiva: l’aggiornamento è, in primis, dovuto alla necessità di adeguare la disciplina al recente cambiamento del sistema di classificazione delle sostanze chimiche ma anche alla necessità di migliorare e aggiornare la direttiva in base alle esperienze acquisite con la Seveso II, in particolare per quanto riguarda le misure di controllo degli stabilimenti interessati, semplificarne l’attuazione nonché ridurre gli oneri amministrativi; garantire ai cittadini coinvolti un migliore accesso all’informazione sui rischi dovuti alle attività dei vicini impianti industriali “Seveso” e su come comportarsi in caso di incidente; garantire la possibilità di partecipare alle decisioni relative agli insediamenti nelle aree a rischio di incidente rilevante e la possibilità di avviare azioni legali, per i cittadini ai quali non siano state fornite adeguate informazioni o possibilità di partecipazione, in applicazione della Convenzione di Aarhus del 1998.

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