Le riserve accertate di gas dell’Egitto sono ufficialmente stimate a circa 2,2 trilioni di metri cubi. L’attenzione geografica dei nuovi blocchi di esplorazione e sviluppo sarà rivolta lontano dall’area del Mar Rosso, a seguito del recente spostamento verso altri asset di gas egiziani da parte delle aziende occidentali
L’Egitto resta al centro della strategia occidentale per reperire forniture di gas in sostituzione di quelle provenienti dalla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022. Il fascino del Paese nordafricano è ulteriormente accresciuto dalla sua posizione geografica strategica, che gli conferisce un’enorme influenza sulle rotte di transito degli idrocarburi vitali.
Oltre a queste considerazioni, l’Egitto occupa anche una posizione di leadership unica nel mondo arabo. Non c’è da stupirsi, quindi, che qualsiasi nuova opportunità di esplorazione di idrocarburi susciti un enorme interesse da parte delle principali aziende occidentali e delle loro controparti orientali, pronte a garantire il proprio approvvigionamento energetico e di sconvolgere i piani dell’Occidente.
I BLOCCHI DI ESPLORAZIONE EGIZIANI
L’ultima tornata di queste opportunità – scrive Simon Watkins su Oilprice – si presenta sotto forma di 12 importanti blocchi di esplorazione del gas concentrati nel Mediterraneo e nel Delta del Nilo. La società statale Egyptian Natural Gas Holding Company (EGAS) ha invitato le aziende straniere a presentare proposte di investimento per esplorare e sviluppare questi 5 siti offshore e 7 onshore, con l’obiettivo di aumentare le proprie riserve di idrocarburi e la propria produzione. I blocchi fanno a loro volta parte dell’ultimo round di licenze di concessione, che include 34 opportunità di esplorazione e sviluppo di petrolio e gas.
LE RISERVE DI GAS DELL’EGITTO
Le riserve accertate di gas dell’Egitto sono ufficialmente stimate a circa 2,2 trilioni di metri cubi, ma questa è considerata una cifra estremamente prudente. L’attenzione geografica dei nuovi blocchi di esplorazione e sviluppo sarà rivolta lontano dall’area del Mar Rosso, a seguito dello spostamento verso altri asset di gas egiziani da parte delle aziende occidentali negli ultimi mesi.
Il gigante statunitense Chevron ha venduto la sua quota del 45% nel Blocco 1 del Mar Rosso per concentrarsi maggiormente sui siti chiave nel Mediterraneo. Secondo la società di analisi energetica globale Wood Mackenzie, il valore attuale netto dei rimanenti siti del Mediterraneo orientale è di 19 miliardi di dollari.
LE OPERAZIONI DI SHELL E BP
Considerato l’enorme afflusso di investimenti in Egitto da parte di aziende occidentali dopo l’invasione dell’Ucraina, si prevede che la maggior parte delle nuove assegnazioni di gas andrà alle aziende leader. Ad esempio, è stata sempre Chevron ad aggiudicarsi di recente il diritto di perforare tre pozzi esplorativi nel blocco offshore di Alessandria Est.
Più o meno nello stesso periodo un consorzio formato da Chevron e dalla britannica Shell si è aggiudicato il blocco offshore di North Samian e il blocco offshore di Northwest Atoll. Shell, inoltre, di recente ha annunciato l’intenzione di avviare lo sviluppo della decima fase della concessione West Delta Deep Marine (WDDM) nel Mar Mediterraneo, nel Delta del Nilo, in Egitto, mentre BP ha dichiarato che investirà 3,5 miliardi di dollari nell’esplorazione e nello sviluppo dei giacimenti di gas egiziani nei prossimi tre anni, una cifra destinata a raddoppiare qualora l’attività di esplorazione porti a nuove scoperte.
LE ATTIVITÀ DI ENI IN EGITTO
Eni, all’avanguardia nei tentativi europei di sostituire il gas russo sanzionato, si è aggiudicata i diritti di esplorazione e sviluppo del blocco offshore di North Ras El Tin attraverso la sua operazione egiziana IEOC. Lo scorso anno ha annunciato il completamento del pozzo Cronos-2 nel Mediterraneo orientale, che ora stima una capacità produttiva di oltre 150 milioni di piedi cubi standard al giorno. Eni gestisce anche i Blocchi 2, 3, 8 e 9 e detiene partecipazioni attive nei Blocchi 7 e 11 gestiti da TotalEnergies. Da parte sua, l’amministratore delegato Patrick Pouyanné, ha recentemente discusso con Badawi i progressi dell’azienda nel giacimento di Cronos e le strategie per collegare la sua produzione agli impianti egiziani.
Eni opera in Egitto dal 1954 ed è attualmente il più grande produttore di petrolio del Paese, con una produzione giornaliera di circa 280 milioni di barili di petrolio equivalente nel 2024. In Egitto sviluppa e produce idrocarburi e realizza progetti per la valorizzazione del gas; è inoltre attiva anche nel settore della raffinazione, con la distribuzione di prodotti derivati dal petrolio.
L’azienda del cane a sei zampe svolge le sue attività nel golfo di Suez, nel delta del Nilo e nel deserto occidentale ed è impegnata nella produzione di idrocarburi con i progetti Zohr, Nooros, Baltim W e Meleiha. Consolidiamo la nostra presenza nell’area del Mediterraneo anche con l’impianto per la liquefazione di gas di Damietta che ci vede operativi nel settore del GNL. Per garantire l’approvvigionamento energetico dell’Europa e dell‘Italia, Eni promuove l’esportazione del gas in collaborazione con Cipro, di cui l’Egitto tratta e liquefà il gas estratto dal giacimento di Cronos, scoperto nell’offshore del Paese.
I PROGETTI DI ENI SULL’IDROGENO VERDE IN EGITTO
In accordo con Egyptian Electricity Holding Company (EEHC) ed Egyptian Natural Gas Holding Company (EGAS), è in fase di valutazione la fattibilità tecnico-commerciale dei progetti per la produzione di idrogeno verde, attraverso l’uso di energia elettrica generata da fonti rinnovabili e di idrogeno blu, tramite lo stoccaggio di CO2 in giacimenti esausti di gas naturale. Eni ha avviato nel campo di Abu Rudeis un impianto fotovoltaico da 14 MWp che contribuisce alla riduzione di CO2 ed è presente nel mercato egiziano della vendita al dettaglio attraverso la società Gastec, grazie alla quale ha costruito un’importante rete di stazioni integrate con il marchio Eni per la vendita di carburanti liquidi, lubrificanti e prodotti e servizi non petroliferi.
L’IMPORTANZA DEL CANALE DI SUEZ E DELLO STRETTO DI HORMUZ
Una delle ragioni più generali per cui Occidente e Oriente sono così disperati nel vincere la battaglia per l’influenza sull’Egitto è che la sua posizione geografica gli consente di controllare il principale punto di strozzatura del trasporto marittimo globale, il Canale di Suez, attraverso il quale viene trasportato circa il 10% del petrolio e del GNL mondiali. Controlla anche l’importante oleodotto Suez-Mediterraneo, che va dal terminal di Ain Sokhna nel Golfo di Suez, vicino al Mar Rosso, al porto di Sidi Kerir, ad ovest di Alessandria, nel Mar Mediterraneo. Si tratta di un’alternativa cruciale al Canale di Suez per il trasporto di petrolio dal Golfo Persico al Mediterraneo. L’importanza del Canale di Suez per il settore energetico globale è ulteriormente rafforzata dal fatto che si tratta di uno dei pochissimi punti di transito importanti non controllati dalla Cina.
C’è poi lo Stretto di Hormuz, di cui la Cina detiene già un controllo effettivo grazie all’onnicomprensivo “Accordo di Cooperazione Globale Iran-Cina di 25 Anni”. Lo stesso accordo conferisce a Pechino anche il controllo sullo Stretto di Bab al-Mandab, attraverso il quale le materie prime vengono trasportate attraverso il Mar Rosso verso il Canale di Suez, prima di entrare nel Mediterraneo e poi dirigersi verso ovest. Questo è stato ottenuto poiché si trova tra lo Yemen (gli Houthi sono stati a lungo sostenuti dall’Iran) e Gibuti (su cui la Cina ha anche stabilito una presa soffocante attraverso i debiti legati al suo progetto di accaparramento di potere multigenerazionale – la “Belt and Road Initiative”). L’Egitto è anche l’unico Paese nella regione del Mediterraneo orientale, punto caldo del gas, con una capacità operativa di esportazione di GNL.