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Libia

Perché l’instabilità politica della Libia mette a rischio l’approvvigionamento globale di petrolio

Il fatto che un altro blocco petrolifero avvenga o meno dipenderà da quanto il governo di Tripoli e la banca centrale – che controlla le entrate petrolifere (27 miliardi di dollari lo scorso anno) – saranno disposti ad istituzionalizzare nuove fonti di entrate per l’est

Dopo quasi un anno senza interruzioni, la Libia in poco tempo ha perso quasi un terzo della sua produzione di petrolio, quando le proteste hanno colpito due giacimenti petroliferi. E altre potrebbero essere in arrivo. Lo scorso 13-14 luglio, circa 350.000 barili al giorno degli 1,2 milioni di b/g di produzione di greggio del Paese nordafricano sono stati bloccati a causa delle proteste in due giacimenti chiave nel sud-ovest del Paese.

L’INSTABILITÀ POLITICA DELLA LIBIA E I SUOI RISVOLTI SUL PETROLIO

Sebbene, dopo il rilascio di un importante politico a Tripoli, il 15 luglio, la produzione sia stata rapidamente ripristinata, l’incidente ha ricordato al mondo che la Libia è un Paese politicamente frammentato e che rappresenta quindi un rischio per l’approvvigionamento globale di petrolio. Un’interruzione prolungata della Libia, membro dell’OPEC, finirebbe solo per aggravare il deficit di offerta globale previsto per la seconda metà del 2023.

La domanda ora è se l’apparente stabilità politica di Tripoli – sempre su un terreno instabile – stia per finire e cosa questo significhi per il suo settore petrolifero. La Libia da agosto ha sostenuto la produzione a 1,1 milioni-1,2 milioni di barili al giorno e ha cercato per anni, senza fortuna, di aumentare la capacità a 2 milioni di b/g. La prognosi non è buona. Una potente figura militare, Khalifa Haftar, sta minacciando di chiudere fino al 90% della produzione petrolifera libica, a meno che non ottenga un maggiore accesso alle entrate petrolifere del Paese. La sua scadenza è il 31 agosto. Le ultime interruzioni – che non sarebbero avvenute senza la sua approvazione – erano solo un avvertimento.

LE MINACCE DI HAFTAR

Nel gioco energetico a somma zero della Libia, però, se si cede un centimetro si rischia di perdere un chilometro. Haftar e l’amministrazione orientale da lui sostenuta in passato hanno utilizzato i blocchi per estorcere denaro e favori politici ad un’amministrazione rivale, riconosciuta a livello internazionale, con sede a Tripoli. Ora vogliono di più, e la minaccia è credibile. L’esercito nazionale libico di Haftar domina i due terzi del Paese, che includono 5 dei 9 terminal di esportazione, che servono il cuore del bacino petrolifero della Sirte – per un valore di circa 800.000 b/g –, così come i giacimenti di El Sharara (300.000 b/g) e di El Feel (70.000 b/g), che sono stati chiusi dalle ultime proteste.

Il fatto che un altro blocco petrolifero avvenga o meno dipenderà da quanto il governo di Tripoli e la banca centrale – che in ultima analisi controlla le entrate petrolifere (27 miliardi di dollari lo scorso anno) – saranno disposti ad istituzionalizzare nuove fonti di entrate per l’est. Se danno troppo, rischiano di far pendere gli equilibri di potere a favore delle fazioni orientali, che in passato hanno cercato di impossessarsi del Paese con la forza.

I RISCHI PER I MERCATI PETROLIFERI

In termini di mercato, l’interruzione della produzione ha avuto pochi effetti immediati. perché sono stati molto brevi. I prezzi del carico libico non si sono mossi rispetto al benchmark North Sea Dated, sebbene all’inizio di luglio siano aumentati come parte di un più ampio rally del light sweet crude del bacino atlantico. Le chiusure, però, hanno ricordato al mercato l’instabilità della Libia e, secondo alcuni partecipanti al mercato, probabilmente ridurranno il prezzo, poiché gli acquirenti contemplano il rischio di mancata consegna.

Una potenziale reazione iniziale è che il raffinatore greco Helleniq Energy ha deciso di acquistare il greggio Unity Gold della Guyana in una gara d’appalto che si è conclusa il 20 luglio. La gara originariamente specificava 600.000-1 milione di barili di Es Sider libico o un greggio alternativo per la consegna dall’1 al 5 settembre. Gli operatori di mercato ipotizzano che la raffineria stia evitando le forniture libiche a causa delle minacce di Haftar di ulteriori interruzioni.

La disputa sulle entrate petrolifere è sintomatica dell’incapacità della Libia di sfuggire al caos politico dopo il rovesciamento di Muammar Gheddafi, nel 2011. La mancanza di un’autorità centrale coerente ha permesso a gruppi armati e politici – alcuni sostenuti da opportuniste potenze straniere – di piegare elementi dello Stato per arricchirsi e consolidare il potere. Per molti, mantenere il Paese nel limbo è il premio.

Fino a quando un governo non riuscirà a stabilire un monopolio sull’uso della forza, la Libia continuerà ad essere alla mercé di fazioni disposte a sospendere la produzione di petrolio per scopi politici ed economici. Le ultime interruzioni hanno rafforzato una pratica già consolidata: se si vuole ottenere qualcosa in Libia, basta fermare il petrolio.

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