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Carbone

ll carbone fa marcia indietro, in Europa è ancora importante

L’Europa importa il 55% del proprio carbone dalla Russia e adesso la fornitura è a repentaglio

 In questi giorni tutta l’Europa sta controllando con ansia i livelli di stoccaggio dei depositi di gas, dal momento che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia minaccia di capovolgere la principale fornitura di gas del continente. Tuttavia, alcuni non prendono in considerazione un vecchio combustibile che fa funzionare l’Europa: il carbone.

Il carbone è legato alla storia dell’industrializzazione, ha svolto un ruolo significativo nella produzione di armi per le guerre più orribili della storia umana, ma è stato anche al centro del progetto di pace europeo. “La messa in comune della produzione di carbone e acciaio” sarà il fondamento di una federazione europea e di pace nel continente, affermò Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea.

Con il progredire dell’Europa, il carbone è diventato un minerale sporco e inquinante che le politiche climatiche vorrebbero consegnare al passato. Le miniere di carbone chiusero in massa e l’Europa cercò di liberarsi della sua sporca abitudine al carbone puntando sull’energia nucleare, sull’energia a gas e infine sulle energie rinnovabili. Ma, a quanto pare, l’ora del carbone non è ancora giunta.

LA DIPENDENZA DAL CARBONE IN EUROPA

Secondo gli ultimi dati Eurostat, nel 2020 la produzione di carbone è stata di 56 milioni di tonnellate, l’80% in meno rispetto ai livelli del 1990. Da allora è diminuito anche il numero di Stati membri che lo producono, che sono passati da 13 a soli 2: la Polonia – che produce il 96% del carbon fossile in Unione Europea – e la Repubblica Ceca.

Allo stesso modo, il consumo di carbone è costantemente diminuito negli ultimi 30 anni, con un calo molto significativo nel 2019. Nel 2020 il consumo di carbon fossile in UE è stato di 144 milioni di tonnellate, il 63% in meno rispetto al 1990.

Mentre l’Europa ha fatto enormi passi avanti nell’eliminazione del carbone dal suo sistema energetico, con Paesi come Belgio, Austria e Svezia già privi di energia derivante dal combustibile, la recente crisi energetica e la guerra in Ucraina hanno riportato il carbone sotto i riflettori. L’Europa importa il 55% del proprio carbone dalla Russia e, adesso, il tentativo di divorzio dell’UE dal Cremlino mette la fornitura a repentaglio. In Germania, Francia, Belgio, Spagna, Polonia e Olanda la dipendenza dal carbone russo è particolarmente pronunciata: si va dall’87% della Polonia al 44% della Spagna. Tempi difficili portano a decisioni difficili, e i politici spesso sono costretti a riconoscere che i tempi bui potrebbero essere dietro l’angolo.

LA MOSSA DELLA GERMANIA

Prendiamo la Germania: ancora oggi le case di Berlino – la capitale della quarta economia mondiale, spesso considerata una città precursore del clima – sono in gran parte riscaldate a carbone. Ecco allora che il vicecancelliere verde, Robert Habeck, ha dovuto cercare di risolvere il problema, annunciando (la scorsa settimana) l’intenzione di andare contro il suo partito e creare delle riserve strategiche nazionali di carbone e gas.

Naturalmente i leader, sia in Germania che nell’Unione Europea, indicheranno un futuro a lungo termine delle energie rinnovabili che salverà la situazione. In molti infatti hanno iniziato a parlare del Green Deal europeo come di una politica di sicurezza per ridurre la dipendenza dell’Europa dalla Russia.

“Investire nelle energie rinnovabili è un investimento strategico perché una minore dipendenza dal gas russo e da altre fonti di combustibili fossili significa anche meno soldi per le casse belliche del Cremlino”, ha dichiarato martedì scorso la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.

L’IMPORTANZA DELLE ENERGIE RINNOVABILI

Il Green Deal non è una nuova politica: nel 2021 l’Europa si è impegnata a diventare climaticamente neutrale entro il 2050, ma l’espansione delle energie rinnovabili è diventata molto più urgente. “Le energie rinnovabili sono la chiave per un’Europa forte e indipendente, al di là dei cambiamenti climatici”, ha dichiarato Simon Müller, capo dell’ufficio tedesco presso il think tank Agora Energiewende.

L’autarchia energetica potrebbe essere il prossimo passo necessario per garantire una pace duratura in Europa, in un momento in cui è minacciata più che mai. E l’unico modo per raggiungere questo obiettivo sarà lasciarsi definitivamente alle spalle il carbone e fare un passo coraggioso in un nuovo mondo di energia completamente rinnovabile.

L’ITALIA E LE 7 CENTRALI A CARBONE ANCORA ATTIVE

E in Italia? A causa dell’emergenza internazionale, le ultime 7 centrali a carbone presenti nel nostro Paese – che, secondo i piani originari, sarebbero destinate allo spegnimento o conversione entro il 2025 – potrebbero rivelarsi molto importanti. Il tutto anche a seguito delle dichiarazioni del premier Mario Draghi, che nell’informativa urgente alla Camera sulla crisi Ucraina e le possibili conseguenze delle sanzioni alla Russia ha detto che “per colmare eventuali mancanze nell’immediato potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone”.

Delle 7 centrali italiane – dislocate tra Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Puglia e Sardegna – 5 sono legate ad Enel, mentre le altre 2 fanno riferimento al gruppo EP produzione e all’azienda A2a. Sette impianti. Delle cinque centrali Enel, l’unica spenta è la centrale termoelettrica “Eugenio Montale” di La Spezia: con una capacità di 682 MW, è stata chiusa a dicembre 2021.

Nella centrale “Andrea Palladio” di Fusina (Venezia), con una capacità di 976 MW, e la centrale termoelettrica “Federico II” di Brindisi (2640 MW), è stata avviata una chiusura parziale di alcuni gruppi.
La “Federico II” è considerata tra le più grandi d’Europa e la seconda più grande d’Italia e per cui è in corso un progetto di riconversione.

Nel Lazio si trova la centrale “Torrevaldaliga Nord”, spinta da un impianto termoelettrico alimentato a carbone e con una capacità di 1980 MW, mentre in Sardegna c’è la centrale “Grazia Deledda” di Portovesme (480 MW), entrambe in capo all’Enel. Sempre in Sardegna c’è una seconda centrale a carbone ancora funzionante: è l’impianto di “Fiume Santo”, vicino a Porto Torres, in cui EP produzione produce energia elettrica utilizzando, appunto, il carbone, generando una potenza netta di circa 600 MW

Infine in provincia di Gorizia, a Monfalcone, si produce energia elettrica nella centrale termoelettrica “A2a”, un impianto composto da due “sezioni termoelettriche convenzionali” che genera 336 MW di potenza.

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