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Petrolio

Mercati del greggio in subbuglio. Ecco cosa sta succedendo tra Opec, Usa e Arabia Saudita

L’Arabia Saudita ha minacciato gli Stati Uniti di smettere di usare dollari per il suo trading petrolifero nel tentativo di scoraggiare i legislatori americani dall’approvare il disegno di legge denominato “NOPEC”

Il prezzo del petrolio ha guadagnato circa il 30 per cento nel primo trimestre di quest’anno, con WTI e Brent che hanno registrato la loro migliore performance trimestrale dal 2009. All’inizio del secondo trimestre il WTI ha già dimostrato di aver superato i 60 dollari e durante la prima settimana di aprile si è posizionato già sopra questa soglia, mentre il Brent si è avvicinato ai 70 dollari per diversi giorni. Ma la situazione rischia di rivelarsi incerta tra situazioni in bilico – vedi Venezuela, Iran e Libia – e nuove riunioni in vista a fine giugno tra paesi Opec e Non Opec. Senza dimenticare che l’Arabia Saudita ha minacciato di non usare più il dollaro per il trading petrolifero.

L’ATTUALE LIVELLO DI PREZZI ACCONTENTA TUTTI I PRODUTTORI

Alla fine dello scorso anno erano stati pochi gli analisti che avevano previsto un aumento così rapido dei prezzi del petrolio nella prima parte dell’anno: in realtà la resilienza della domanda, accoppiata a un mercato in contrazione a causa dei tagli Opec e degli alleati e a sanzioni americane che stanno paralizzando le vendite di petrolio venezuelano e iraniano, ha fatto da trainato ai prezzi. Uno dei motori dell’aumento dei prezzi del petrolio quest’anno è stato “una domanda molto resistente”, ha dichiarato in settimana Michele Della Vigna, responsabile della ricerca EMEA sulle risorse naturali presso Goldman Sachs, alla CNBC. “La domanda rimane robusta soprattutto nei mercati emergenti, che continuano a comprare molto greggio”, ha osservato l’esperto di Goldman. L’attuale livello dei prezzi, inoltre, funziona per tutti sul fronte dei produttori: aiuta a gestire i deficit di alcuni membri dell’Opec, è molto redditizio per l’industria, ed è sufficiente a garantire crescita per lo shale americano, ha ammesso sempre Della Vigna.

PER ORA NESSUNA FIAMMATA DEI PREZZI: MA LIBIA, VENEZUELA E OPEC+ POTREBBERO CONDIZIONARE L’OFFERTA GLOBALE DI GREGGIO

Per l’immediato futuro Goldman Sachs non vede fiammate in grado di consentire ai prezzi di scavalcare la soglia dei 60-70 dollari al barile anche se sono alle viste nelle prossime settimane una serie di eventi che potrebbero condizionare l’offerta globale di petrolio e determinare l’andamento dei prezzi del petrolio. Per Goldman Sachs a incidere potrebbero essere un ulteriore inasprimento delle sanzioni statunitensi sul Venezuela e la revisione delle deroghe statunitensi per i clienti iraniani del petrolio. Inoltre, potrebbero incidere anche l’Opec+ che dovrà riesaminare il patto di riduzione della produzione a fine giugno e la situazione in Libia.

IN CALO I PREZZI DEL PETROLIO IL PROSSIMO ANNO SECONDO FITCH

Diverso il discorso per quanto riguarda il prossimo anno. I prezzi del Brent dovrebbero raggiungere una media di 62,50 dollari al barile, in calo rispetto ai 65 dollari di media stimati quest’anno, in concomitanza con un previsto rallentamento della crescita economica globale. Almeno secondo quanto dichiarato da Dmitry Marinchenko, senior director di Fitch a Reuters in un’intervista pubblicata venerdì. Fitch vede i prezzi del Brent scendere ulteriormente nei prossimi anni, fino a raggiungere una media di 57,50 dollari al barile entro il 2022, di pari passo, secondo l’agenzia di rating, con il rallentamento della crescita economica globale al 2,8% quest’anno e il prossimo, rispetto al 3,2% del 2018. “Se il rallentamento della crescita globale dovesse diventare più pronunciato, o anche se si materializzerà una recessione, allora la domanda di petrolio potrebbe diminuire bruscamente. Ciò rappresenta il principale rischio per i prezzi del petrolio a livello mondiale”, ha detto Marinchenko a Reuters. Poco prima che l’OPEC e gli alleati decidessero a dicembre di lanciare un nuovo ciclo di tagli alla produzione per riequilibrare il mercato e sostenere i prezzi del petrolio, Fitch aveva stimato prezzi nel medio termine nell’ordine di 60-65 dollari al barile per il Brent e sotto i 60 dollari nel lungo termine “a causa del calo dei costi del ciclo completo dei produttori marginali”. petrolio

L’ARABIA SAUDITA PRONTA AD ABBANDONARE IL DOLLARO PER IL TRADING PETROLIFERO SE DOVESSE PASSARE LA LEGGE USA NOPEC

Nel frattempo un’altra insidia rischia di abbattersi sul mercato petrolifero e la situazione economica globale. L’Arabia Saudita ha infatti minacciato gli Stati Uniti di smettere di usare dollari per il suo trading petrolifero nel tentativo di scoraggiare i legislatori americani dall’approvare il disegno di legge denominato “NOPEC” (No Oil Producing and Exporting Cartels Act, ndr) che una volta approvato bollerà l’Opec come responsabile di pratiche di cartello ai sensi della legge statunitense. La Reuters ha riferito, citando fonti anonime, che il passaggio dal dollaro statunitense ad altre valute era stato discusso già in circoli sauditi di alto livello e che era stato condiviso anche con i funzionari governativi statunitensi del dipartimento dell’energia.

A RISCHIARE SONO SOPRATTUTTO GLI USA

OpecProprio durante quella riunione il ministro del Petrolio degli Emirati Arabi Uniti, Suhail al-Mazrouei, avrebbe detto che in caso di via libera Usa alla legge, il gruppo dei paesi produttori, che è a tutti gli effetti un cartello, si sarebbe sciolto e ogni membro avrebbe aumentato la produzione al suo massimo. Se si dovesse sperimentare un simile evento potrebbe verificarsi nuovamente quanto accaduto nel 2013 e 2014 quando ci fu un crollo verticale dei prezzi del greggio che raggiunsero i 30 dollari al barile, mandando in crisi i produttori shale americani. Per questo, una delle fonti di Reuters, ha riferito che se gli americani dovessero approvare il NOPEC “sarebbe l’economia statunitense a crollare”.

IL BIGLIETTO VERDE RISCHIA DI PERDERE IL SUO STATUS DI VALUTA DOMINANTE A LIVELLO MONDIALE

Altri paesi stanno già utilizzando valute diverse dal dollaro nel trading petrolifero, in particolare Russia e Iran, e anche la Cina in alcuni casi. Tuttavia se questo dovesse accadere per un grande produttore come l’Arabia Saudita, ciò finirebbe per avere forti ripercussioni sullo status del biglietto verde come valuta dominante a livello mondiale e potrebbe anche stimolare mosse simili da parte di altri esportatori di petrolio minacciati dal NOPEC.

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