Le principali compagnie petrolifere stanno affrontando nuove pressioni per la decarbonizzazione, nonostante la recente priorità data alla sicurezza energetica rispetto alla decarbonizzazione a causa della pandemia e dell’invasione russa dell’Ucraina.
Nel corso del 2022 le compagnie petrolifere hanno realizzato profitti record che hanno suscitato malcontento nelle organizzazioni ambientaliste e in organismi internazionali come l’Onu e l’Aie. Ma anche nei governi che in molti casi sono intervenuti tassando gli extraprofitti (anche se quegli stessi governi hanno praticamente incoraggiato i profitti sovvenzionando i carburanti per evitare l’inflazione).
NEL 2022 DECARBONIZZAZIONE MESSA DA PARTE
Un altro risvolto portato avanti nel 2022 ha riguardato la decarbonizzazione, messa temporaneamente da parte dopo la pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina, in nome della sicurezza energetica.
Ma ora, quell’era sembra essere tramontata e secondo alcuni analisti, le compagnie petrolifere torneranno a guardare alla decarbonizzazione.
NEL 2023 CAMBIO DI ROTTA
Se si analizzano i conti del secondo trimestre 2023, tutte le major petrolifere, ad eccezione di BP, hanno riportato profitti più deboli a causa del calo dei prezzi del petrolio e del gas.
Secondo il Financial Time, ciò significa che la minaccia della compressione dell’offerta è passata e ora i governi che hanno sovvenzionato diesel e benzina aumenteranno ancora una volta la pressione sull’industria petrolifera affinché diventi sempre più verde.
In effetti, la pressione non è mai diminuita, anche quando lo scorso anno il petrolio era scambiato sopra i 100 dollari al barile: le supermajor europee hanno investito infatti in vari progetti a basse emissioni di carbonio, dalla capacità eolica e solare ai caricabatterie per veicoli elettrici.
Ma non è stato così per tutti: Quest’anno, BP e Shell hanno praticamente ritirato i loro impegni di decarbonizzazione con evidenti segnali di frustrazione dei loro investitori attivisti.
Quegli stessi investitori, tra l’altro, hanno ricevuto un sostegno molto inferiore per le loro risoluzioni relative al clima alle Assemblee di quest’anno rispetto agli anni precedenti. Il resto degli azionisti deve invece aver apprezzato i programmi di riacquisto di azioni e dividendi più alti.
LE MAJOR USA EXXON E CHEVRON SI STANNO AVVENTURANDO NELLA TRANSIZIONE
Nel frattempo, le supermajor americane, che generalmente si sono tenute alla larga da cose come eolico e solare, si stanno avventurando nei materiali di transizione grezzi: Exxon e Chevron, ad esempio, hanno entrambi annunciato incursioni nell’estrazione del litio quest’anno, segnalando la potenziale direzione che dovrebbe prendere la loro spinta alla decarbonizzazione.
I due sono anche impegnati ad espandere le loro capacità di cattura del carbonio. Exxon, per esempio, vede un futuro in cui la sua attività di decarbonizzazione potrebbero superare la sua attività principale nel settore di petrolio e gas.
DIVERSO IL DISCORSO IN EUROPA
In Europa, BP e TotalEnergies hanno appena vinto una gara d’appalto per la capacità eolica offshore in Germania, sostanzialmente battendo l’industria eolica sul proprio territorio.
SITUAZIONE PARADOSSALE
La situazione attuale è alquanto paradossale, osserva però Oilprice: “funzionari governativi nazionali e internazionali chiedono la decarbonizzazione dell’industria degli idrocarburi. Allo stesso tempo, prevedono una domanda più elevata per questi stessi idrocarburi e, nel caso dell’AIE, avvertono che questa domanda più elevata si tradurrebbe in un deficit”.
“Sarebbe ragionevole suggerire che ciò significhi che gli sforzi di decarbonizzazione non stanno andando esattamente come previsto. Il motivo è che il bisogno di energia è immediato e pressante. La gente ha bisogno di energia adesso e non tra cinque anni. E Big Oil è felice di aiutare mentre investe in quella nuova capacità energetica che sarà operativa tra cinque anni grazie ai sussidi governativi”, ha concluso Oilprice.
PER ENI CAPACITA’ INSTALLATA NELLE RINNOVABILI A 2,5GW
Passando all’Italia, anche Eni sta portando avanti il discorso della decarbonizzazione: al 30 giugno 2023, la capacità installata da fonti rinnovabili è pari a 2.5 GW, in aumento di circa 1 GW rispetto al 30 giugno 2022, principalmente grazie alle acquisizioni effettuate in Italia (Gruppo PLT), in Spagna (Boreas e Helios), negli Stati Uniti (Kellam), allo sviluppo organico dei progetti di Brazoria negli Stati Uniti, Cerillares in Spagna e in Kazakhstan con la prima tranche del progetto Shaulder, nonché alla realizzazione del primo impianto di accumulo di energia in Italia, presso il sito di Assemini”, secondo quanto emerge dalla semestrale del Cane a sei zampe.
Ma in ballo ci sono molti progetti come ad esempio quello di GreenIT, la joint venture italiana per le energie rinnovabili nata tra Plenitude (Eni) e Cdp Equity (Gruppo Cdp), che hanno firmato un accordo con Copenhagen Infrastructure Partners (Cip – attraverso i suoi Flagship Funds), per sviluppare tre parchi eolici offshore galleggianti nel Lazio e in Sardegna. Gli impianti saranno collocati a circa 30 km dalla costa e hanno una capacità totale di quasi 2 Gw.
L’intesa prevede infatti lo sviluppo di un parco eolico nel Lazio, al largo di Civitavecchia, per una capacità complessiva fino a 540 Mw e di altri due impianti situati al largo di Olbia (Sardegna), con una potenza di circa 500 Mw e 1 Gw. I tre progetti dovrebbero così generare circa 5 TWh l’anno e saranno operativi tra il 2028 e il 2031, una volta completato l’iter autorizzativo e la successiva fase di costruzione.
L’intero portafoglio eolico offshore italiano della partnership raggiungerà una potenza di quasi 3 Gw, con una produzione annua di circa 7 TWh di energia rinnovabile, in grado di soddisfare i consumi elettrici di quasi 2,51 milioni di famiglie.
Di recente, Vårgrønn, joint venture tra Plenitude (Eni) e HitecVision, e la società irlandese di servizi energetici integrati Energia Group hanno annunciato un accordo per lo sviluppo congiunto di due progetti eolici offshore in Irlanda entro il 2030, per una capacità totale fino a 1,8 GW. Lo sviluppo di questi due impianti, situati rispettivamente nel Mare Celtico settentrionale e nel Mare d’Irlanda meridionale, con una potenza installata fino a 900 MW ciascuno, consente a Plenitude di estendere, attraverso Vårgrønn, le proprie attività al mercato eolico offshore irlandese.
IL PROGETTO DI FUSIONE NUCLEARE
Infine Eni sta cercando di sviluppare energia dalla fusione nucleare attraverso una partnership negli Usa. Se già da qualche anno il colosso italiano dell’oil and gas era tra gli “azionisti strategici” della Commonwealth Fusion Systems (uno spinout del Massachusetts Institute of Technology), Eni è diventata nei mesi scorsi anche partner tecnologico della compagnia di Boston. L’obiettivo è quello di realizzare e rendere operativo entro due anni, nel 2025, il primo impianto pilota a confinamento magnetico per la produzione netta di energia da fusione. Ed entro i primi anni del prossimo decennio costruire la prima centrale elettrica industriale da fusione in grado di immettere elettricità nella rete.