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Gas

Come si discute negli Usa sulla decarbonizzazione

In cosa consiste la proposta del repubblicano del Texas Bill Flores, che ricerca una sintesi tra gli obiettivi di dominazione energetica e di tutela del clima

Il futuro energetico degli Stati Uniti è stato segnato dal raggiungimento del ruolo di esportatori di gas naturale e petrolio. Si tratta di un passaggio che chiude una storia di dipendenza dalle importazioni energetiche da Paesi con cui spesso gli USA hanno intrattenuto rapporti complessi come l’Arabia Saudita ma che non ha posto fine alla questione delle emissioni e del loro impatto sul clima globale. Come coniugare ambiente ed interessi nazionali? C’è chi prova a dare una risposta.

L’APPELLO DEL RAPPRESENTANTE FLORES

Gli Stati Uniti hanno investito anni per raggiungere lo status di esportatore di energia, tagliando il traguardo ufficialmente nel 2019 per la prima volta in 67 anni. A ciò ha contribuito inevitabilmente la produzione di gas naturale e greggio, cresciuta a livelli sorprendenti tramite il fracking. La dominazione energetica, dichiarata dal presidente Trump ed ormai incorporata nel discorso ufficiale della politica statunitense è stata il passo successivo, stabilendo che non fosse più sufficiente soddisfare le proprie necessità energetiche con fonti interne ma che gli USA dovessero divenire il principale produttore ed esportatore mondiale – come affermò il primo Segretario degli Interni dell’amministrazione Trump Ryan Zinke –. Questa visione è fortemente sbilanciata a favore delle fonti fossili, le quali divengono uno strumento di guadagno economico, un’arma di pressione politica contro gli altri Paesi produttori – come la Russia e l’Iran, citando lo stesso Zinke – o un modo per rafforzare la sicurezza nazionale, a seconda dell’uso. Accrescere l’affidamento sulle fonti fossili, però, rischia di compromettere il raggiungimento di traguardi fondamentali per l’ambiente come la riduzione delle emissioni, specialmente se l’amministrazione presidenziale in carica ritiene necessario abbandonare l’Accordo di Parigi o riportare in auge il carbone.

C’è chi prova a conciliare i due obiettivi di dominazione energetica e tutela del clima, come il repubblicano texano Bill Flores, membro della Commissione Energia e Commercio della Camera dei Rappresentanti, il quale ha proposto che gli Stati Uniti divengano un Paese a zero emissioni nette per il 2040. Il risultato sarebbe da raggiungere tramite investimenti in energia verde che possano anche promuovere la ripresa economica dalla pandemia di COVID-19. Nella sua dichiarazione, estratta durante un intervento ospitato da The Hill il 24 agosto, Bill Flores ha affermato che il Paese debba sviluppare un approccio che porti gli USA a divenire “leader mondiale per quanto riguarda le risorse energetiche ed arrivare a zero emissioni nette entro il 2040 o 2050”. Quest’ultimo è un traguardo condiviso anche dal candidato democratico alla Presidenza Biden. Flores richiama la necessità di investire maggiormente in nucleare di nuova generazione, inclusi i reattori modulari di piccole dimensioni, e di adoperare una “combinazione di conservazione, innovazione, adattamento e forze di mercato”, affermando che sia necessario “che le forze di mercato guidino le fonti energetiche e l’offerta e domanda anziché avere una sorta di forze politiche esterne” che si sostituiscono al mercato. Flores ha inoltre espresso grande apprezzamento per il lavoro svolto da Trump al fine di perseguire l’indipendenza energetica del Paese, in quanto uno strumento per “maggiore sicurezza nazionale e stabilità geopolitica”.

DOV’È IL PROBLEMA?

Il dibattito politico statunitense è naturalmente molto più complesso di quanto la struttura bipartitica possa suggerire: lungi dall’avere due poli monolitici che si scontrano su ciascun tema con posizioni inconciliabili, vi sono sempre numerose sfumature e punti di convergenza sui singoli dossier. Visto il gran numero di questioni sul lato economico, tecnologico, ambientale e sociale che l’energia porta con sé è dunque inevitabile che le posizioni fra i singoli partiti ed al loro interno siano composite e variabili. Non dovrebbe dunque stupirci se parte dei repubblicani mostri una certa sensibilità per i problemi legati al cambiamento climatico ed alla produzione di energia. I Green Republicans sono una realtà nella politica statunitense, con la possibilità di divenire sempre più influenti all’interno del partito. Ciò non è naturalmente un problema di per sé, in quanto è anzi solamente positivo che sempre più rappresentanti si rendano conto dell’urgenza di affrontare il cambiamento climatico e ridurre le emissioni di gas serra.

Il problema vero è stabilire quanto questo convincimento sia genuino: soprattutto in alcuni Stati è fondamentale mostrarsi a favore di tematiche come la qualità dell’aria, dei territori pubblici e di altri beni ambientali e candidati come il senatore repubblicano Cory Gardner in Colorado hanno dovuto fare affidamento su tale sensibilità per consolidare la propria immagine. Del resto è inevitabile che sia così: secondo il Pew Research Center due terzi degli americani giudica come insufficienti gli sforzi del Governo federale per proteggere il clima ed il 64% degli adulti afferma che la protezione debba essere una priorità per il presidente ed il Congresso, mentre il 52% afferma la stessa cosa relativamente al cambiamento climatico. In entrambi i casi si tratta di una marcata crescita rispetto ai dati degli anni precedenti. Si nota inoltre un cambiamento generazionale all’interno dei repubblicani, con i più giovani che si mostrano molto più sensibili al tema ambientale e che sono fortemente più favorevoli a dare la priorità a fonti energetiche alternative.

Cosa dire, dunque, dell’intervento del rappresentante Flores? È apprezzabile che esso includa l’obiettivo di decarbonizzare l’economia statunitense, ma ci sono alcuni elementi che stonano con l’idea di una svolta green. Nello stesso evento di lunedì, Flores ha infatti dichiarato di essere favorevole al programma di apertura di 1,5 milioni di acri dell’Arctic National Wildlife Refuge alle trivellazioni, decisione che cancella il divieto della Presidenza Obama. La decisione di Trump, applaudita da Flores, si basa sul progetto implementato già sotto il Segretario Zinke di concedere maggiore territorio federale all’esplorazione delle società energetiche, con l’idea che ciò aumenterà di pari passo la produzione. Il problema principale di questa strategia è che il sistema non funzioni così: le società energetiche conducono attività di esplorazione ed estrazione nel momento in cui conviene economicamente, dunque a prescindere da eventuali accelerazioni nel processo di concessione. Il risultato principale di tale politica è che le compagnie accumulino licenze che poi non sfruttano.

Avvallare questa politica, come ha fatto Flores, è dunque problematico nel momento in cui si vuole presentare una conciliazione fra riduzione delle emissioni e mantenimento del supporto all’industria energetica tradizionale. La buona fede del rappresentante Flores non è ovviamente in discussione, ma rimane la necessità di scelte più ambiziose che segnino un autentico cambio di passo rispetto al passato se si vuole davvero perseguire un modello di sviluppo sostenibile e superare con successo la sfida climatica.

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