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Pitesai

Bessi (Pd): Recovery Fund opportunità per il sistema energetico italiano

L’agire del governo minaccia lo sviluppo degli idrocarburi italiani, con serie ripercussioni economiche e strategiche. Intervista a Gianni Bessi (Pd)

Nelle scorse settimane si era parlato molto di un emendamento al decreto Semplificazioni – poi ritirato – che puntava a bloccare le cosiddette “trivelle” e, quindi, lo sviluppo dei giacimenti di idrocarburi nazionali. Con serie ripercussioni sia economiche, sia strategiche.

Energia Oltre ha discusso di tutto questo con Gianni Bessi, consigliere regionale dell’Emilia Romagna per il Partito Democratico e autore di Gas naturale. L’energia di domani (Innovative Publishing, 2018) e di House of Zar. Geopolitica ed energia al tempo di Putin, Erdogan e Trump (Goware, 2020).

Questo modo di agire, fatto di continue minacce di stop, non rischia di penalizzare ancora di più le risorse oil & gas italiane e di accrescere la dipendenza dalle importazioni?

Sì, è uno stillicidio che sta seriamente compromettendo uno dei nostri settori economici di punta. Il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI), che è stato votato dal governo Conte I e rappresenta l’indirizzo del Movimento 5 Stelle, prima di Luigi Di Maio, poi di Stefano Patuanelli, è un autogol per lo sviluppo del Paese e anche per le sue casse.

E una cosa va detta su questo piano, mettendo da parte le appartenenze politiche e invece guardando all’interesse dei cittadini: è stato prima approvato con la complicità e l’ipocrisia della Lega di Salvini, mentre oggi viene perpetuato con la complicità del Partito Democratico.

I continui rinvii e i tentativi di inserire ulteriori emendamenti fanno capire che la strada sia politica sia normativa del PiTESAI è completamente sbagliata, se non fallimentare. E comporta il congelamento delle attività di sfruttamento degli idrocarburi: non soltanto nel mar Adriatico, ma anche in Basilicata e in Sicilia.

Se si guarda il bilancio di Eni, si nota come l’azienda produce di fatto il suo utile attraverso l’oil & gas; il gas, in particolare, sarà ancora più rilevante nel futuro. Nella lista dei circa 50 paesi dove opera Eni, l’Egitto e la Libia rappresentano il 16 per cento della produzione totale (1,8 milioni di barili equivalenti al giorno), seguiti da Angola e Kazakistan (8 per cento) e poi al quinto posto dall’Italia (7 per cento). Non è poca cosa.

L’Italia, quindi, produce e contribuisce al ricco bilancio di Eni per il 7 per cento. E l’azienda è per il 30 per cento di proprietà dello Stato. Se la produzione italiana si blocca, bisogna pensare non soltanto alle implicazioni energetiche, ai lavoratori e all’indotto per il nostro Paese, ma anche a quelle finanziarie.

I ministri del Movimento 5 Stelle dicono di voler garantire e difendere gli interessi di Eni: si pensi alle tensioni marittime tra Turchia e Cipro in un’area dove sono presenti blocchi di Eni, oppure a tutta la vicenda libica. Ma bisogna domandarsi perché non si delinei una programmazione per la produzione di gas naturale in Italia nei luoghi già preposti. Quei luoghi, cioè, in cui Eni possiede già delle concessioni e nei quali l’AD di Eni Claudio Descalzi due anni fa presentò un piano di investimenti, individuando peraltro strutture già presenti. Il piano porterebbe ad un aumento della produzione nell’Adriatico da meno di 40mila barili equivalenti al giorno ad oltre 100mila. Che si lodino le attività di Eni all’estero, ostacolandole però in Italia, è una grande ipocrisia.

Intendiamoci: il piano non cancellerebbe la dipendenza italiana dalle forniture estere. Ma dobbiamo tener conto del fatto che l’Italia è il quinto consumatore di gas al mondo, e che oggi si affida ai contratti per le importazioni dalla Russia, dalla Libia e dall’Algeria. Non è escluso che, in futuro, possano verificarsi degli shock relativi all’approvvigionamento energetico.

Il gas naturale, peraltro, riveste un ruolo centrale nei piani energetici italiani ed europei, in sinergia con le fonti rinnovabili.

Sì, la strada è il mix energetico rinnovabili e gas naturale. In Italia le riserve di gas naturale le abbiamo, ma bisogna fare una scelta: o si sceglie di non sfruttarle, prendendosi però anche le responsabilità (le conseguenze per il bilancio dell’Eni e per i lavoratori); oppure si stila un programma di sviluppo di 10-15 anni.

Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, non bisogna dimenticare che replicare casi come quello della Danimarca, ad esempio, dove la ventosità è molto alta, è difficile. Lo stesso discorso vale per il fotovoltaico e per l’idroelettrico.

Le rinnovabili, poi, sono fonti intermittenti: occorre dunque garantire una potenza costante. La nostra è una società energivora, prima ancora che digitale. Non possiamo pensare alla nostra quotidianità senza l’energia fornita dal gas naturale. Solo una nuova tecnologia – che non esiste – può permettere di superare questa fase di transizione. Si può anche dire che bisogna abbandonare gli idrocarburi, ma bisogna tenere conto del fatto che questi producono una parte del bilancio dello Stato: tutte le volte che si mette un’accisa sul diesel, ad esempio, il bilancio statale diventa un po’ più dipendente dagli idrocarburi.

Oggi bisogna ragionare su due punti. Il primo: abbiamo, in Italia, la possibilità di produrre gas naturale, che ci permetterebbe non soltanto di creare nuova occupazione di alto livello, ma anche di partecipare al grande gioco geopolitico che coinvolge un po’ tutte le potenze economiche e politiche, nel Mediterraneo ma anche nell’Artico. Ricordandoci, però, che non esiste una risorsa che, da sola, ci permetterà di superare il problema del fabbisogno energetico e della sostenibilità ambientale.

Il secondo punto è il seguente: dobbiamo ideare e mettere in pratica delle politiche che non creino disuguaglianze. Se vogliamo incentivare tutto ciò che è green, dobbiamo però tenere conto del fatto che le tecnologie “verdi” oggi sono ancora costose e che non tutti sono in grado di accedervi. Le automobili elettriche, ad esempio, hanno costi mediamente alti.

Il Recovery Fund può rappresentare l’opportunità – per l’Italia e per l’Europa – per potenziare la rete infrastrutturale dell’energia, del sistema idrico e per trasformare l’economia in senso circolare, ripensando fin dall’inizio l’intero ciclo di vita del prodotto.

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