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Petrolio

Il 2019? Un anno di volatilità moderata per il greggio. Parola di Jp Morgan

Il risiko del petrolio è sempre più una partita a scacchi tra i tre signori del petrolio, Trump, Putin e bin Salman che di fatto hanno esautorato l’Opec

JP Morgan ha tagliato le sue stime sul settore petrolifero: secondo quanto riferisce il sito dell’emittente Usa CNBC, i prezzi del greggio del Brent raggiungeranno una media di 73 dollari al barile nel 2019, in ribasso rispetto alla precedente previsione della banca d’investimento che si attestavano sugli 83,50 al barile.

MERCATO FOCALIZZATO SUL VERTIVE OPEC DEL 6 DICEMBRE

OpecScott Darling, capo della divisione petrolio e gas della regione Asia-Pacifico a JP Morgan, ha ammesso proprio alla CNBC che la banca d’investimento ha recentemente rivisto le sue prospettive in primo luogo per via delle stime sull’approvvigionamento delle forniture nordamericane nella seconda metà del prossimo anno – JP Morgan si aspetta infatti che il prezzo del Brent, punto di riferimento internazionale per il petrolio, raggiunga i 64 dollari nel 2020 -. E in secondo luogo per il fatto che sulla domanda pesano le decisioni dell’Opec che ha accettato di accelerare la produzione all’inizio di quest’anno. Il mercato è ora focalizzato sulla prossima riunione del gruppo il 6 dicembre per avere stime più precise. Darling ha sottolineato che se il ruolo di OPEC è quello di bilanciare il mercato e sostenere i prezzi, avrebbe bisogno di ridurre la sua produzione combinata di ben 1,2 milioni di barili al giorno. Il cartello stesso sta discutendo tagli compresi tra 1 milione e 1,4 milioni di barili al giorno. Su questo tema la Russia deve ancora pronunciarsi ma secondo un rapporto Reuters che cita due alti funzionari del governo russo, il paese stavolta potrebbe non unirsi ad un taglio guidato dall’OPEC, anche se il presidente Putin nel corso di un evento dedicato all’industria locale, ha annunciato che la Russia continuerà a cooperare con l’OPEC sui prezzi del petrolio.

CON OPEC UNITO VOLATILITÀ MODERATA DEI PREZZI DEL GREGGIO

In sostanza se l’Opec continuerà a mantenersi unito così com’è ora, anche nel 2019, scrive il sito Trend che ha visionato il rapporto di Jp Morgan, la volatilità dei prezzi del greggio “dovrebbe rimanere moderata anche in presenza di un aumento di offerta shale nel primo semestre del 2019”. Vale a dire con oscillazioni massime di circa il 25%. “I rischi derivano dall’imprevedibilità del conflitto commerciale Usa-Cina e da una ripresa più forte del previsto della dinamica rialzista di fine ciclo dei mercati petroliferi”, evidenzia il rapporto. La Banca d’affari ritiene che l’offerta statunitense dovrebbe aumentare all’inizio del prossimo anno, ma la sua quantità dovrebbe contribuire a esercitare solo una moderata pressione sui prezzi in presenza di una forte gestione delle forniture Opec che JP Morgan vede ancora possibile. “Semmai, la combinazione dell’aumento dei barili di shale e della minore crescita della domanda l’anno prossimo, con il raffreddamento della domanda degli Stati Uniti, potrebbe far scendere la fascia di prezzo del Brent di fine 2019 a circa 75 dollari al barile dagli 85 di quest’anno nel nostro scenario centrale, anche se 60-65 dollari al barile continua a essere la zona di sostegno dell’Opec”, ha sottolineato il rapporto. Il risultato netto sarebbe una fascia più ristretta di prezzo fisso intorno ai 70 dollari al barile, che dovrebbe essere accettabile per i sauditi dal punto di vista della gestione della domanda, sempre secondo JP Morgan.

ANCHE GLI ULTIMI DATI PROVENIENTI DALL’ARABIA SAUDITA SUI PREZZI SONO ALL’INSEGNA DEL RIBASSO opec

“Nel complesso, fintanto che il regime in corso di attenta calibrazione dell’offerta rimarrà in vigore da parte di Opec, la barra per oscillazioni di volatilità fuori scala è alta. I rischi sono inclinati verso prezzi più bassi, poiché le probabili sorprese sono l’eccesso di offerta degli Stati Uniti e la reticenza dell’Arabia Saudita a ripristinare completamente i suoi barili in sostituzione dell’Iran; inoltre, è altamente improbabile che la domanda di recupero industriale cinese si ripeta, dato che la Cina rallenterà il prossimo anno verso una crescita del Pil del 6%”, ha spiegato Jp Morgan nel rapporto. Per la quale è probabile quindi che anche altre banche d’investimento inizieranno presto a rivedere le loro previsioni, a meno che non siano certi che l’OPEC concordi un taglio della produzione nella riunione di Vienna del mese prossimo. Ma questo taglio non è affatto certo. Al contrario, anche gli ultimi dati di produzione del numero uno dell’OPEC, l’Arabia Saudita, sono ribassisti nei confronti dei prezzi: Javier Blas di Bloomberg ha riferito nei giorni scorsi, citando alcuni addetti ai lavori, che la produzione petrolifera del Regno dall’inizio di questo mese, è balzata a nuovi massimi, raggiungendo 10,8-10,9 milioni di bpd. L’offerta, compresa la produzione e gli utilizzi delle scorte ha raggiunto in alcuni giorni addirittura gli 11 milioni di barili giornalieri.

I TRE SIGNORI DEL PETROLIO MONDIALE

In un editoriale di Julian Lee su Bloomberg si ipotizza che il prezzo petrolifero 2019 sarà un affare tra i tre uomini che ormai hanno in mano il mercato del greggio mondiale: Donald Trump, Vladimir Putin e il principe ereditario Mohammed Bin Salman. Niente più Opec, dunque, che “lotta per trovare un scopo comune” mentre Stati Uniti, Russia e Arabia Saudita dominano l’offerta mondiale e tutte e tre hanno posizioni divergenti. “Insieme producono più petrolio dei 15 membri dell’OPEC. Tutti e tre stanno pompando a tassi record e ciascuno potrebbe aumentare la produzione anche l’anno prossimo, anche se non tutti possono scegliere di farlo”. Tuttavia, al momento, visto che i prezzi petroliferi sono in picchiata, l’Arabia Saudita ha dichiarato che il mese prossimo taglierà le esportazioni di 500.000 barili al giorno e ha avvertito gli altri produttori della necessità di ridurre di circa 1 milione di barili al giorno i livelli di produzione di ottobre. Ma la proposta “ha ricevuto una risposta tiepida da Putin e un rimprovero su Twitter da parte di Trump. Bin Salman ha bisogno di entrate petrolifere per finanziare i suoi ambiziosi piani di trasformazione dell’Arabia Saudita, evitando al contempo i disordini. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che il Regno avrà bisogno di un prezzo del petrolio di 73,3 dollari al barile l’anno prossimo per equilibrare il suo bilancio. Il Brent è scambiato circa 5 dollari al di sotto di tale valore, mentre le esportazioni dell’Arabia Saudita sono scambiate a prezzo scontato rispetto al benchmark del Mare del Nord. Prolungare i tagli alla produzione per un terzo anno è l’unico modo per realizzare le entrate di cui ha bisogno”.

LA SFIDE DI PUTIN E TRUMP

Altre sfide attendono invece Putin e Trump. “Il presidente russo non mostra grande entusiasmo per limitare nuovamente la produzione del suo paese. Il bilancio di Mosca è molto meno dipendente dal prezzo del petrolio rispetto a quando la Russia ha accettato di unirsi agli sforzi dell’OPEC per riequilibrare il mercato petrolifero nel 2016 e le compagnie petrolifere del paese vogliono produrre dai giacimenti in cui hanno investito”. Putin, prosegue Lee su Bloomberg, “potrebbe ancora decidere il mantenimento delle relazioni politiche” con i sauditi “ma non è scontato che la Russia accetterà di estendere i tagli alla produzione quando i produttori si riuniranno a Vienna il mese prossimo. Putin dice che i prezzi del petrolio di circa 70 dollari al barile gli si addicono completamente”. Dall’altro lato Trump la cui “opposizione sarà – naturalmente – molto più forte e arriva in un momento in cui Usa e Arabia Saudita stanno cercando di preservare le loro relazioni politiche, mentre i senatori americani stanno pensando a sanzioni più severe contro l’Arabia Saudita in risposta alla guerra nello Yemen e all’uccisione del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. Una minaccia più grande dagli Stati Uniti ai piani sauditi arriveranno poi dall’area petrolifera del Texas. I produttori americani hanno aggiunto un volume equivalente all’intera produzione della Nigeria negli ultimi 12 mesi. La loro produzione potrebbe raggiungere i 12 milioni di barili al giorno entro aprile, secondo il Dipartimento dell’Energia”.

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