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Cina Eolico Offshore

Rinnovabili, record di investimenti cinesi legati alla Belt and Road

Nel 2020 l’eolico, il solare e l’idroelettrico hanno rappresentato il 57% degli investimenti in progetti energetici legati alla Belt and Road Initiative

Per la prima volta, le fonti rinnovabili hanno rappresentato la maggioranza degli investimenti della Cina in progetti energetici legati alla Belt and Road Initiative (o Nuova via della seta), il grande piano infrastrutturale inaugurato da Pechino nel 2013. C’entra la pandemia di coronavirus, che ha accelerato la transizione dalle fonti fossili come il carbone e il petrolio.

QUANTO VALGONO LE RINNOVABILI

Nel 2020 l’eolico, il solare e l’idroelettrico hanno rappresentato il 57 per cento (circa 11 miliardi di dollari) del totale degli investimenti in infrastrutture per l’energia della Belt and Road. Nel 2019 queste fonti valevano il 38 per cento.

I dati provengono da uno studio dell’Istituto della finanza verde dell’Università centrale di finanza ed economia di Pechino, visionato anche dal Financial Times.

CRESCONO ANCHE GLI INVESTIMENTI NEL CARBONE

Nello studio viene tuttavia evidenziato come anche il carbone – il combustibile fossile più inquinante – abbia visto crescere la propria quota negli investimenti energetici cinesi: nel 2020 ha rappresentato infatti il 27 per cento del totale, contro il 15 per cento del 2018.

Inoltre, il “record verde” è stato raggiunto in una fase di calo, dopo il picco raggiunto nel 2015, degli investimenti diretti nel contesto della Belt and Road Initiative. Secondo lo studio, nel 2020 gli investimenti della Cina nei paesi coinvolti nel progetto sono diminuiti più del previsto: un crollo del 54 per cento su base annua, per un totale di 47 miliardi di dollari.

MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA, MA…

Christoph Nedopil Wang dell’Istituto della finanza verde sostiene che il passaggio più deciso verso le fonti rinnovabili si spieghi con la maggiore consapevolezza – tanto degli investitori cinesi quanto dei paesi riceventi – che la produzione di energia ad alta intensità di carbonio porta con sé sia rischi ambientali che finanziari.

“Tuttavia”, precisa Nedopil Wang, “rimane la brama di investimenti nelle fonti fossili [per] una serie di motivi, come la convinzione che il carbone sia una fonte di energia ‘economica’ oppure per via della disponibilità locale di riserve di carbone”.

SOSTENIBILITÀ E IDROELETTRICO

Inoltre, parlare di sostenibilità in relazione agli investimenti energetici cinesi è complicato dal grande ruolo occupato dall’idroelettrico. Le dighe permettono di produrre energia senza emettere anidride carbonica, ma possono causare inondazioni di foreste o di altri ecosistemi che assorbono “naturalmente” la CO2.

IL DOPPIO BINARIO CINESE, ALL’ESTERO E IN PATRIA

La pandemia di coronavirus ha rafforzato l’idea, non soltanto tra le economie più sviluppate ma anche in quelle emergenti, di puntare maggiormente sull’eolico e sul solare. Una serie di paesi considerati fondamentali per la Belt and Road Initiative – come il Pakistan, il Vietnam, il Bangladesh o l’Egitto – hanno messo a punto dei piani per una ripresa sostenibile dalla crisi del coronavirus.

D’altra parte, gli annunci del presidente Xi Jinping sulla riduzione dell’intensità carbonica entro il 2030 e sul raggiungimento della neutralità al 2060 lasciano immaginare che la Cina svolgerà un ruolo importante nel raggiungimento degli obiettivi climatici dell’accordo di Parigi.

Gli ambientalisti temono però che l’insistenza delle aziende e delle banche cinesi nel costruire e finanziare nuove centrali a carbone all’estero può rappresentare un ostacolo al progressivo distacco da questo combustibile.

Non soltanto all’estero, ma anche in patria, gli investimenti energetici cinesi seguono un doppio binario: da una parte puntano su una massiccia espansione della capacità rinnovabile, dall’altra continuano a perpetuare la dipendenza dal carbone.

Solo nel 2020 la Cina ha installato quasi 120 gigawatt di nuova capacità eolica e solare, un record e un valore quasi quadruplo – scrive il Financial Times – di quello in dotazione del Regno Unito. Allo stesso tempo, però, la Cina ha approvato la costruzione di più centrali a carbone solo nella prima metà del 2020 rispetto a qualsiasi anno intero dal 2015.

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