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Libia

Isis blocca il gas: Libia costretta a bruciare petrolio per avere energia

Nel 2007 era stata elaborata una strategia per il gas che comprendeva l’estensione della rete nazionale ma la maggior parte dei progetti infrastrutturali è in stand by a causa della minaccia dello Stato islamico che scoraggia gli investitori

 

Libia sempre più dipendente dal petrolio per risolvere i problemi di carenza di energia elettrica. Il paese avrebbe di fatto abbandonato la possibilità di approvvigionarsi di gas a causa della presenza dello Stato islamico che di fatto sta frenando lo sviluppo delle infrastrutture per rifornirsi di combustibile blu. I due nuovi impianti a Ubari nel sud-ovest e Tobruk nel nord-est sono stati progettati principalmente per funzionare a gas. Ma in assenza di gasdotti per la fornitura del combustibile, entrambi bruceranno petrolio, emettendo circa il doppio dei gas a effetto serra.

LibiaLa priorità è affrontare i blackout

Nel quadro di instabilità che ha colpito la regione dopo la scomparsa dell’ex leader Muammar Gheddafi nel 2011, la priorità è diventata quella di affrontare i frequenti blackout elettrici piuttosto che pensare a proteggere l’ambiente. “È più una strategia di necessità che un approccio intenzionale di bruciare petrolio per l’energia – ha dichiarato Richard Mallinson, analista di Energy Aspects, al sito Climate Home News – In un ambiente più stabile, puntano ad avere dei collegamenti. Ma ora hanno urgente bisogno di energia”. La centrale da 640 MW di Ubari dovrebbe entrare in funzione nelle prossime settimane. I giacimenti di gas nel sud-ovest sono collegati mediante gasdotto ad un terminale di esportazione a Mellitah, ma il gasdotto si ferma a circa 300 km da Ubari. Lo stabilimento da 650 MW di Tobruk ha un problema simile. Il principale gasdotto libico si sviluppa lungo la costa mediterranea tra la capitale Tripoli e la seconda città libica, Bengasi, ma si ferma a circa 400 km da Tobruk.

Libia in controtendenza nel produrre energia elettrica con il petrolio

La Libia è in controtendenza rispetto alla tendenza globale di abbandonare la produzione di energia elettrica alimentata a petrolio, che nella maggior parte del mondo viene utilizzata come ultima risorsa. Anche le nazioni ricche di petrolio vedono più valore nell’esportazione del prodotto che nello spreco tramite utilizzo in centrali elettriche inefficienti. “Il petrolio è in via di graduale eliminazione – ha detto Mallinson -. Arabia Saudita, Iran e Iraq hanno tutti impianti di generazione elettrica tramite petrolio, ma stanno cercando di sostituirlo con gas per vendere il loro petrolio”.

Piano gas sospeso per il momento: ma aumenta la domanda

Il governo libico non ha pianificato le cose in questo modo. Nel 2007 era stata elaborata una strategia per il gas che comprendeva l’estensione della rete nazionale di approvvigionamento. La maggior parte di questi progetti infrastrutturali, tuttavia, sono in stand by a causa della minaccia dello Stato islamico che scoraggia gli investitori. Senza trascurare il fatto che la fornitura di combustibile è pressoché nulla. Nel frattempo però è aumentata la domanda dei consumatori. La General Electricity Company of Libya (Gecol), a gestione statale, impone blackout programmati nel tentativo di impedire che la rete si blocchi completamente. Spesso ci sono anche blackout non programmati, dovuti a zone del paese che si rifiutano di spegnere la rete quando previsto o ad attacchi alle infrastrutture elettriche da parte di gruppi locali di scontenti o fazioni politiche. Il 12 gennaio 2017, la centrale di Zawiya nel nord-ovest è stata costretta a passare a bruciare gasolio quando i manifestanti hanno interrotto le forniture di gas all’impianto. Il conseguente calo della produzione ha causato interruzioni di corrente per 12 ore a Tripoli e un blackout di tre giorni nel sud del paese. Se le forniture di gas fossero state tagliate più a lungo, i risultati sarebbero stati quelli di un “blackout totale” in tutto il paese, disse allora la Gecol. Gli sforzi dell’azienda statale per incoraggiare un consumo più moderato e una riduzione coordinata del carico energetico non sono riusciti a prevenire ulteriori interruzioni impreviste durante tutto l’anno. Alla fine di giugno e luglio si sono verificati blackout in tutto il paese a causa del picco della domanda estiva di energia elettrica. Alcune parti del sud sono rimaste senza elettricità per una settimana alla volta.

In Libia ha anche altri problemi ambientali

La produzione di energia non è l’unico aspetto della protezione ambientale che soffre del vuoto di autorità libico. La politica ambientale a livello nazionale e locale è sostanzialmente inesistente. “Ci sono rifiuti non raccolti a Bengasi e Tripoli, il sistema fognario è crollato e sospetto che non ci sia alcuna regolamentazione della pesca – ha dichiarato Geoff Porter, responsabile della società statunitense North Africa Risk Consulting -. Il degrado ambientale a cui stiamo assistendo in Libia è una conseguenza diretta del completo crollo dello Stato”.

Prospettive poco favorevoli

L’autorità statale in Libia si è divisa più volte. Il Parlamento di Tobruk si è rifiutato per quasi due anni di approvare il gabinetto nominato dall’esecutivo di Tripoli, riconosciuto a livello internazionale, costituito a seguito dell’accordo di pace del dicembre 2015. Il precedente governo riconosciuto a livello internazionale, fondato nel 2014 e con sede nella città orientale di Baida, continua, inoltre, ad esercitare l’autorità su alcune parti del paese respingendo l’intesa del 2015. La situazione è resa ancora più difficile dalla frammentazione militare in centinaia di milizie. L’esercito nazionale libico è nazionale solo di nome e non è riconosciuto dal governo di Tripoli, ma il suo leader Khalifa Haftar è desideroso di assumere un ruolo chiave in qualsiasi soluzione politica. Le forze di Haftar hanno avuto un certo successo nell’affrontare i militanti dell’Isis dalla città di Derna nel nord-est e più recentemente a Bengasi. Le milizie di Tripoli e Misurata, sostenute dall’aeronautica americana e da esperti militari francesi e britannici, hanno nel frattempo costretto l’Isis a rinchiudersi nella città di Sirte. Nonostante ciò, però, le cellule estremiste continuano a minacciare la sicurezza delle infrastrutture chiave e la sicurezza dei lavoratori, in particolare quelli provenienti dall’estero. E ciò rende estremamente difficile il ripristino delle infrastrutture esistenti, per non parlare della costruzione di nuove strutture. L’entrata in esercizio della centrale di Ubari, ad esempio, era prevista per novembre. Ma i partner di progetto Enka Teknik e Siemens hanno ritirato il loro personale dallo stabilimento a novembre, dopo che tre lavoratori turchi e un sudafricano, tutti dipendenti di Siemens, sono stati rapiti fuori dall’aeroporto di Ubari. A settembre, l’inviato delle Nazioni Unite per la Libia Ghassan Salamé ha pubblicato un piano d’azione per sanare le divisioni politiche e ripristinare un governo funzionale.

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