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Carburanti

Perché costa così tanto un pieno di benzina

La situazione internazionale e italiana sul prezzo del carburante nel mezzo della crisi ucraina. Fatti, numeri, dichiarazioni

Uno degli effetti più tangibili della crisi ucraina, a livello energetico, è quello dei prezzi. L’Europa e l’Italia vivono, infatti, giorni di totale subbuglio per un boom dei costi del carburante che né accenna a calare e né fa altro dal registrare il prosieguo delle tensioni internazionali.

Anche oggi, si è registrato un nuovo record per il prezzo del gas sul mercato di Amsterdam. Il TTF, che segna il riferimento europeo per i prezzi del combustibile, ha visto toccare il record di 199 euro per megawattora per poi scendere sui 185 euro. Il precedente record era stato di 132 euro la scorsa settimana.

LE ARMI AMERICANE

Ne avevamo parlato nelle settimane scorse qui su Energia Oltre. L’emergenza carburante affligge gli Stati già prima della crisi ucraina, la quale però ha accelerato e aggravato la situazione. Biden “sta sicuramente valutando quali possibili opzioni ha nella gamma limitata di strumenti che un presidente potrebbe avere per affrontare il costo della benzina alla pompa, perché è un mercato globale”, diceva a fine anno il segretario all’Energia, Jennifer Granholm, a MSNBC in un’intervista.

Nel mentre, a beneficiare erano e sono le maggiori compagnie petrolifere. Exxon, Chevron, Shell e BP. Le quali, tra l’altro, adesso stanno lasciando la Russia per contestare le mosse nazional-imperialiste di Vladimir Putin in Ucraina.

CHE FANNO GLI ALTRI PAESI: L’INDIA

In India, per guardare a un paese enorme, le strategie di governo di fine 2021 era quella di porre un freno ai consumi di carburante dopo aver toccato livelli record. Adesso, il contesto è cambiato. La domanda di carburante dell’India è destinata a crescere del 5,5% nel prossimo anno fiscale a partire dal 1 ° aprile. Questo, secondo Reuters, secondo le stime iniziali del governo, riflettendo una ripresa dell’attività industriale e della mobilità nella terza economia asiatica dopo mesi di stagnazione.

LA CINA

Guardare alla Cina, invece, ci permette di non dimenticare di un altro fattore non proprio da poco. C’è ancora la pandemia.  E dunque, oltre alle pazzie di Putin in Ucraina bisogna guardare anche alla situazione dei viaggi che faticano a riprendere. La domanda media annuale di carburante per jet della Cina è diminuita dall’inizio della pandemia: l’anno scorso erano 680.000 barili al giorno, leggermente in calo rispetto al 2020 e un calo di circa il 18% rispetto al periodo pre-pandemia del 2019.

IL BRASILE NON DECIDE

La compagnia petrolifera statale brasiliana Petrobras, invece, non ha preso una decisione sugli adeguamenti dei prezzi del carburante, come ha riferito nella giornata di ieri l’amministratore delegato Joaquim Silva e Luna. A scriverne stamani è la Global Platts, dove si riporta che secondo Luna “il mondo è precipitato in uno scenario di incertezza”. A Reuters, l’Ad ha poi detto che “stanno studiando” una soluzione.

LA NIGERIA

Altri 18 mesi, poi la palla al nuovo governo. L’esecutivo nigeriano ha deciso il prolungamento degli aiuti statali sul carburante, evitando probabili malumori popolari. Come scrive Energies Media, Timipre Sylva, ministro del petrolio nigeriano, ha proposto il posticipo della fine dei sussidi e sull’Oil Industry Act “un emendamento […] a causa di questo sviluppo”.

IN ITALIA

Lo scriviamo da settimane e ancor più dallo scoppio della guerra in Ucraina. Noi, in Italia, abbiamo preoccupazioni superiori alla media europea su quanto sta facendo la Russia perché, come ha detto Draghi anche nell’ultima informativa in Parlamento “l’Italia importa il 95% del gas, di cui oltre il 40% dalla Russia”. Sebbene per ora questo non dovrebbe disturbare il nostro sonno poiché “nel breve termine, un’interruzione di flussi non dovrebbe comportare seri problemi”.

Ma intanto i prezzi schizzano e continuano a schizzare senza tregua. E gli effetti sui carburanti sono evidenti.

LA MOSSA DEL GOVERNO

Il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha intanto dato il via libera all’adesione dell’Italia alla proposta, su base volontaria, di rilascio coordinato di una quota delle proprie scorte petrolifere promossa dall’IEA, l’Agenzia internazionale dell’Energia, con un contributo di 2,041 milioni di barili – pari a 68,7 barili al giorno per 30 giorni – con l’obiettivo di ridurre il picco di prezzi a cui stiamo assistendo a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.

Per l’Italia si tratta di circa 277mila tonnellate di greggio che comprendono, oltre alla quantità standard stabilita, anche un ulteriore +25% a copertura della quota di quei paesi che non hanno aderito.

La decisione arriva a conclusione della riunione straordinaria della IEA di cui l’Italia fa parte insieme ad altri 30 paesi. Parte dei 60 milioni totali di barili messi a disposizione potrà essere indirizzata verso l’Ucraina come aiuto concreto anche sul fronte energetico.

Sempre ieri anche il governo tedesco aveva aderito rilasciando sul mercato 434mila tonnellate della sua riserva nazionale di petrolio per, all’incirca, una quota del 5,4% nell’ambito degli accordi AIE che prevedono l’immissione sul mercato di 60 milioni di barili di riserve petrolifere per compensare le interruzioni delle forniture a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.

LE REAZIONI: ANGAC E CONFSAL

Angac/Confsal denuncia una situazione insostenibile. “Compagnie e retisti scaricano sui gestori i maggiori costi e i gestori , in base agli incassi che registrano, non ce la fanno più sostenere le spese energetiche” dice il comunicato. La richiesta di Angac/Confsal “di interventi urgentissimi sui carburanti, anche e soprattutto a tutela dei gestori e dei consumatori, di sterilizzazione Iva e riduzione accise e/o ritorno dei prezzi amministrati per un periodo a tempo determinato.

Per le due associazioni serve un “intervento da parte del governo per una moral suasion verso le compagnie petrolifere che tende rivisitare gli accordi commerciali per rivedere margini ed eliminare alcune limitazioni sulla concorrenza , sostegni alla categoria per il forte aumento dei costi, trainati dall’energia elettrica”.

Ma anche l'”estensione del credito d’imposta su tutti i costi sostenuti per la vendita con transazioni elettroniche dei carburanti. E ulteriori giorni di dilazione dei pagamenti, per far fronte ai maggiori costi finanziari”. Infine, si chiede l'”apertura di un tavolo governativo, fino ad oggi negato, di crisi del settore”.

COSA DICE IL CODACONS

Come previsto ieri dal Codacons, i prezzi della benzina in modalità servito hanno sfondato la soglia dei 2,1 euro al litro, con alcuni marchi che vendono oggi la verde a 2,111 euro/litro.

Una escalation dei listini dei carburanti che – spiega l’associazione – risente del conflitto in Ucraina e delle tensioni sulle quotazioni internazionali del petrolio.

“Siamo in presenza di una vera e propria emergenza perché i rincari di benzina e gasolio non solo aggravano la spesa per i rifornimenti di carburante di famiglie e attività produttive, ma hanno effetti diretti sui prezzi al dettaglio, considerato che in Italia l’85% della merce viaggia su gomma – afferma il presidente Carlo Rienzi – Il Governo deve intervenire con urgenza per calmierare i listini alla pompa, intervenendo attraverso una sterilizzazione dell’Iva e un taglio delle accise che pesano su benzina e gasolio, in modo da contenere anche gli effetti sui prezzi dei beni trasportati” dice nel comunicato l’associazione.

LA POSIZIONE DI ASSOUTENTI

Dure anche le parole di Assoutenti.

“Sono in arrivo pesanti aumenti anche per pasta, pane, farine, cereali, biscotti, e dolciumi, con i prezzi al dettaglio di una moltitudine di prodotti che potrebbero subire nel breve termine rincari tra il 15% e il 30% – denuncia in una nota il presidente Furio Truzzi – A pesare sui listini al pubblico sia le quotazioni delle materie prime come il grano e il mais che, a causa del conflitto bellico, hanno raggiunto i livelli massimi da 14 anni, sia i rincari dei carburanti che aggravano la spesa per il trasporto delle merci” commenta Truzzi.

“Di fronte a tale situazione estremamente critica che potrebbe affossare i consumi, impoverire le famiglie e bloccare l’economia nazionale, chiediamo al Governo di proclamare lo stato di emergenza prezzi, fissando prezzi amministrati per i beni di prima necessità, sterilizzando l’Iva sui carburanti e contrastando speculazioni sui listini”, conclude il numero uno del gruppo.

CHE DICE L’UNC

“É da metà novembre 2020 che, inascoltati, denunciamo il rialzo costante dei prezzi dei carburanti. Ma il Governo non ha ancora mosso un dito per affrontare il problema, che così è diventato ora un’emergenza nazionale” afferma in una nota Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.

“Se si considera che gli aumenti che ci sono stati fino a oggi, nonostante la nota questione della doppia velocità, non possono certo essere dovuti alla guerra in Ucraina ma all’atteggiamento incosciente dei Paesi Opec+ che, dopo aver ridotto durante la pandemia la produzione di 10 milioni di barili al giorno, ora che c’è una ripresa economia mondiale stanno salendo solo di 400 mila barili, è chiaro che la guerra in corso non potrà che peggiorare, in futuro, la situazione” prosegue Dona.

“Ecco perché urge una riduzione delle accise di almeno 20 cent, anche per raffreddare l’inflazione che continua a decollare e che è più che quadruplicata da giugno a febbraio proprio per colpa dei beni energetici, ossia luce gas e benzina, senza i quali non sarebbe a +5,7% ma solo a +2,1%, 2,7 volte meno” prosegue Dona.

“Quanto alla ventilata promessa dei giorni scorsi del viceministro allo Sviluppo economico, Gilberto Pichetto, che sarebbe allo studio la sterilizzazione dell’Iva sui carburanti, è una promessa che sentiamo dal 2002, dall’allora ministro delle Attività Produttive, Antonio Marzano, che dichiarò: “stiamo studiando un meccanismo sulle accise che possa stabilizzare il prezzo della benzina”. Da allora sono passati 20 anni! Direi che ormai si tratta di studenti fuori corso” conclude nella nota Dona.

Insomma, qualche provvedimento dovrà essere preso. Nel mentre, l’Ucraina continua a stare sotto le bombe di Putin e qui in Europa ne paghiamo conseguenze anche energetiche.

 

 

 

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