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Petrolio

Petrolio, Tabarelli: Con la crisi prepariamoci a una Cina più forte in Africa e M.O.

La crisi del petrolio e i cambiamenti del mercato energetico potrebbero avere ripercussioni geopolitiche. Intervista a Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia

I bassi prezzi del petrolio stanno minacciando le economie di quei paesi – penso soprattutto al Medio Oriente – che dipendono dalla vendita dei barili. Le minori entrate potrebbero ripercuotersi sulle possibilità di spesa in politica estera di produttori come l’Arabia Saudita, l’Iran o gli Emirati. Come potrebbe cambiare la regione?

I produttori in Medio Oriente sono abituati agli alti e bassi del prezzo. Negli ultimi cinquant’anni hanno attraversato almeno quattro cadute delle entrate del petrolio: 1985, 1998, 2014 e 2020. Ma certamente le loro ambizioni di spesa sono oggi ridimensionate, e con una popolazione giovane ed in crescita non è positivo.

Ma un lato positivo c’è: avendo a disposizioni minori entrate, smetteranno di finanziare gruppi estremisti, come fa l’Iran con Hezbollah, e di fare guerre a distanza, come fa l’Arabia Saudita in Yemen.

La pandemia di coronavirus ha portato alla luce tutte le debolezze strutturali dell’industria americana dello shale oil. Siamo giunti alla fine della rivoluzione energetica degli Stati Uniti, o il settore potrebbe riorganizzarsi e sopravvivere?

Tutto quello che nasce negli Stati Uniti fa fatica a morire. E lo vediamo già nella produzione che, pur con fallimenti a catena, è scesa solo di un milione di barili al giorno, attestandosi sui 12 milioni di barili al giorno.

Ci aspettavamo di più. Ma le società del fracking sono molto flessibili e riescono a resistere anche con gli attuali 40 dollari al barile, anche se certamente non fanno profitti come prima.

Lo scontro geopolitico tra Stati Uniti e Cina avrà delle ripercussioni sul mercato energetico? La Cina potrebbe cioè cercare di ridurre la sua dipendenza dalle importazioni provenienti da nazioni “ostili” (come l’Australia) per puntare maggiormente sulle fonti domestiche e rinnovabili?

La Cina prova da sempre ad affrancarsi dalle importazioni di energia. E lo fa ad esempio con il carbone domestico, che rappresenta il 70 per cento dei suoi consumi.

Certo, la Cina è il primo paese per crescita delle energie rinnovabili, ma la loro quota conta poco. Pechino è soprattutto il primo importatore di petrolio, di cui avrà bisogno ancora a lungo, nonostante gli sforzi sulla mobilità elettrica.

Il crollo dei prezzi del petrolio è un gran regalo per la Cina, che guarderà con sempre maggiore interesse all’Africa, da dove potrebbe importare greggio in quantità maggiori. La Cina potrebbe poi diventare più presente in Medio Oriente per accedere al petrolio, se è vero che gli Stati Uniti – come sembra – vogliano uscire dalla regione.

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