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Litio

Le compagnie minerarie sono le nuove Big Oil?

Oltre ai prezzi delle materie prime, le compagnie minerarie hanno anche un vantaggio di narrazione rispetto alle società petrolifere

Le entrate delle società petrolifere – per decenni quelle dominanti nel settore delle risorse naturali – stanno venendo messi in ombra dalle compagnie minerarie, che stanno registrando profitti record grazie ai prezzi alti dei metalli sui mercati.

La situazione, come spiega Bloomberg, è il risultato del “boom” dei prezzi del rame, del minerale di ferro e di altri metalli che sta causando una “ondata inflazionistica” nell’economia mondiale e facendo aumentare “il costo di tutto”, dai cavi elettrici alle travi per l’edilizia.

LE STIME DI BLOOMBERG

Stando alle stime di Bloomberg, le cinque maggiori aziende produttrici di minerale di ferro sono sulla buona strada per registrare profitti complessivi per 65 miliardi di dollari quest’anno. È circa il 13 per cento in più di quelli delle cinque più grandi compagnie petrolifere. Come ha spiegato Mark Hansen, amministratore delegato della società commerciale Concord Resources, “in questo momento il valore si è spostato dall’energia ai metalli”.

L’AUMENTO DEI PREZZI DEI METALLI

L’impennata dei profitti per le aziende minerarie è dovuta principalmente all’andamento del minerale di ferro, la più importante materia prima al mondo dopo il greggio, necessario per la produzione dell’acciaio. Viene scambiato ad un prezzo appena inferiore ai 200 dollari a tonnellata, paragonabile a quello record di una decina d’anni fa, quando la domanda cinese innescò un cosiddetto “superciclo” delle materie prime. Le maggiori compagnie minerarie australiane sono in grado di estrarre una tonnellata di minerale di ferro per meno di 20 dollari.

Anche i prezzi del rame sono cresciuti molto, superando la soglia dei 10mila dollari a tonnellata. E tutta una serie di altri metalli di base – l’alluminio, il nichel, lo zinco – stanno venendo scambiati a livelli raggiunti solo due volte nella storia moderna: nel 2007 e nel 2011.

BIG MINING CONTRO BIG OIL

Per i cinque principali produttori di minerale di ferro – BHP, Rio Tinto, Vale, Anglo American Plc e Fortescue Metals – quest’anno fiscale sarà solamente il secondo, nel secolo in corso, in cui i loro profitti supereranno quelli delle aziende petrolifere. Sarebbe il primo, in realtà, se nel 2020 la pandemia di coronavirus non avesse colpito tanto duramente l’industria del petrolio.

Durante il precedente “boom delle materie prime”, che raggiunse il suo picco tra il 2008 e il 2011, le grandi compagnie petrolifere (le Big Oil) registrarono profitti ben maggiori di quelle minerarie (le Big Mining). Dieci anni fa, per esempio, le cinque major del greggio – ExxonMobil, Chevron, Shell, Total e BP – riportarono utili doppi rispetto a quelli dei grandi produttori di minerale di ferro.

Oggi però, oltre ai prezzi delle materie prime, le compagnie minerarie hanno anche un vantaggio di narrazione: mentre infatti il petrolio e i combustibili fossili hanno contribuito al riscaldamento globale e alla crisi climatica, alcuni metalli sono cruciali per la realizzazione della transizione energetica: il rame, ad esempio, serve a costruire i veicoli elettrici e i cavi che collegheranno gli impianti rinnovabili alla rete.

PIÙ CONVENIENZA PER GLI INVESTITORI

Rispetto all’ultimo superciclo, inoltre, l’attuale ondata di prezzi alti dei metalli si rivelerà probabilmente più conveniente per gli investitori. Oggi infatti le società minerarie sono molto più riluttanti ad investire grosse somme in acquisizioni o in nuove miniere, e si concentreranno piuttosto sulla distribuzione dei dividendi.

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