Cos’è il progetto Trans Sahariana e perché l’Algeria si rivolge all’Italia. Oggi Di Maio e Cingolani volano in Angola
Questa in corso sarà un’altra settimana chiave nella ricerca italiana di nuove forniture extra-russe. Oggi e domani, Luigi Di Maio e Roberto Cingolani faranno le veci di Draghi (in quarantena a Città della Pieve causa positività al Covid-19) in Angola e Congo per stringere ulteriori accordi energetici. Il tour africano, dunque, continua. Ma già nelle settimane scorse era stato un altro paese del Nord Africa ad essere al centro delle trame: l’Algeria.
L’ACCORDO ROMA-ALGERI: 9 MILIARDI DI MC ALL’ANNO
Lunedì scorso, infatti, il premier Draghi ha raggiunto un accordo con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune. Saranno circa 9 miliardi i metri cubi aggiuntivi all’anno di cui Roma potrà beneficiare da Sonatrach, un terzo di quanto importato sin qui dalla Russia. Come ribadito più volte su questo giornale, però, è chiaro che non può bastare. Ma la strada è chiara: fare di tutto per staccarsi dal gas russo. L’accordo siglato ad Algeri vale “3 miliardi di metri cubi in più subito, altri 6 nel 2023”, ha precisato il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Nel caso di un supporto anche dalla Libia si arriverebbe a 11 miliardi.
Esistono però due questioni, non marginali, che devono invitare alla cautela anziché all’entusiasmo. Anzitutto, i tempi di queste nuove risorse non saranno immediati: occorrerà aspettare almeno il 2023. In secondo luogo, la questione politica. Se è vero che legarsi mani e piedi a un’autocrazia come quella russa di Putin è stato un grave errore, è altrettanto rischioso espandere la rete dei rapporti economico-energetici con paesi altrettanto poco affidabili. Sebbene, almeno in questo caso specifico, come Italia possiamo guadagnare qualcosa.
GASDOTTO TRANS SAHARIANA: COS’È
A far da contraltare a questo quadro c’è il progetto del Nigal. Ne scrive oggi Repubblica con Luca Pagni: Algeri chiede supporto tecnologico e politico a Roma per sbloccare il gasdotto Nigal. Conosciuto anche come Trans Sahariana, il tubo andrebbe a collegare “le coste della Nigeria al centro produttivo di gas e petrolio nel cuore del Sahara dell’Algeria, dopo aver attraversato nel suo percorso anche il Niger”. C’è di più: il sostegno richiesto si amplierebbe al settore delle rinnovabili e al rafforzamento delle infrastrutture. Saipem ed Eni giocherebbero, ancora, in prima fila.
Il ruolo italiano in loco, dunque, può ampliarsi. Intanto, i discorsi sul Nigal riprendono un filo nato nel “2009, con un’intesa a tre firmata assieme a Niger e Nigeria. Più che le difficoltà tecniche, a fare da freno sono state quelle politiche, dovendo attraversare territori dove è forte la presenza della guerriglia”. Come accennato sopra, il problema politico esiste anche al di fuori della Russia. E l’Italia, se vuole rinvigorire la propria politica estera (ed energetica) non può non tenerne conto.