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Gazprom

Quanto conviene staccarsi subito dal gas russo?

Sul gas russo, l’Italia guida il fronte oltranzista del distacco da Mosca. Ma secondo i documenti di Eni alla Sec il danno sarebbe notevole. E Berlino frena ancora 

Il  fronte energetico della guerra ucraina, e delle sue conseguenze, è entrato in una nuova fase. Un po’ come il conflitto sul campo. L’Italia sta accelerando in ogni direzione le sue mosse per staccarsi quanto prima possibile dalle forniture di Mosca. Da ultimo, dopo il viaggio di Mario Draghi ad Algeri, c’è l’accordo con l’Egitto.

ITALIA, ECCO IL GAS DA IL CAIRO (E NON FINISCE QUI)

Infatti, come riporta Federico Fubini sul Corriere della Sera, nella serata di ieri è arrivata la firma “di un accordo con l’Egitto per la fornitura dell’equivalente di tre miliardi di metri cubi all’anno sotto forma di gas liquefatto (Gnl)”. Si tratta di un ulteriore passo in avanti di quella strategia che l’esecutivo italiano sta conducendo da molte settimane (Di Maio era volato ad Algeri con Descalzi a fine febbraio, ndr) e che vedrà il suo  prosieguo con altri appuntamenti. Congo e Angola, per esempio. Nel primo caso, “dovrebbe poter arrivare l’equivalente di altri cinque miliardi di metri cubi di gas, metà già quest’anno e metà dall’anno prossimo. Dall’Angola dovrebbe poter arrivare in tempi relativamente rapidi l’equivalente di 1,5 miliardi di metri cubi”.

Di fianco a questo quadro che porta ad avere pensieri più distesi sulla questione della diversificazione, c’è poi il tema del Gnl americano. E in generale della gestione di tutto questo nuovo metano che arriverà sulla Penisola in stato liquido. Servono i rigassificatori, serve accelerare le procedure di autorizzazione. Insomma, questioni non proprio esordienti.

IL FRONTE MENO OLTRANZISTA: LA GERMANIA CONTRO L’ADDIO AL GAS RUSSO

Dall’altro lato dello scacchiere europeo il quadro sembra complicarsi. Se all’inizio della crisi ucraina l’esecutivo semaforo aveva preso le distanze da Mosca stoppando il Nord Stream 2, ora emerge lo scetticismo nel dire addio al gas russo. Ne scrive Flaminia Bussotti sul Messaggero: come sappiamo, Berlino dipende anche più di Roma dal gas russo e questo è alla base della sua prudenza nel dirgli addio. “Uno stop al gas, secondo i dati divulgati ieri dai principali istituti economici, significherebbe una grave recessione e inflazione record”, chiaro no?

Negli ultimi giorni, inoltre, sono emersi nuovi elementi di tensione con l’Ucraina. Il caso Steinmeier-Zelensky non dà un contributo esattamente positivo alle scelte berlinesi. Mentre sul fronte interno, come riportato dal nostro Pierluigi Mennitti, “il governo sta lavorando a una modifica della Legge sulla sicurezza energetica (Energiesicherungsgesetzes) che preveda anche espropri come ultima risorsa”. La mossa renderebbe “più esplicita una norma di fatto già esistente che, in caso di crisi, permette la messa sotto amministrazione fiduciaria delle società che gestiscono infrastrutture energetiche critiche” fino a possibile espropriazione.

Insomma, bolle molto in pentola e ogni giorno il quadro rischia di modificarsi.

QUANTO COSTA DIRE ADDIO AL GAS RUSSO?

Aldilà del ragionamento per schieramenti opposti, occorre ragionare anche in termini economici. Le carte depositate da Eni della Sec americana – la Securities and Exchange Commission – mettono in contrasto la strategia del cane a sei zampe di breve e lungo periodo. Come scrive Virginia Della Sala sul Fatto Quotidiano, Descalzi aveva previsto una fornitura di 400 miliardi di metri cubi di gas ad indicare una forte strategia indipendente e sicura. Ma dalle carte del 20-F depositate dalla società la settimana scorsa, Eni “traccia infatti un dettagliato quadro dei propri timori in caso di rinuncia al metano e petrolio russi”. La questione fondamentale riguarda i contratti, che sono a lungo termine e con clausole take or pay (pagare anche se non si consuma). Ed è difficile quantificare il danno di tali rinunce: la certezza, secondo questa visione più pessimistica, è che andare da altre parti potrebbe non dare le stesse garanzie.

Le settimane che verranno potranno dire qualcosa in più anche su questo. L’Africa, intanto, torna prepotentemente al centro di ogni discorso.

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