Il monito dagli Stati Uniti: “Non possiamo aiutarvi più di tanto”. Fatti, numeri e scenari sul rapporto tra Usa ed Europa
Un avvertimento raggelante. Dagli Stati Uniti arriva il monito dell’industria del gas e del petrolio. A riportarlo è il Financial Times, in un contesto che vede l’Ue continuare a lavorare sodo per rispondere alle ritorsioni russe (anche) in materia energetica.
L’UE RISPONDE ALLA RUSSIA: APPROVATO IL PIANO PER I RISPARMI SUI CONSUMI
Ieri la Commissione guidata da Ursula von der Leyen ha reso noto il piano per i risparmi continentali. L’Unione dovrà “far fronte agli effetti di un grave squilibrio tra domanda e offerta di energia, dovuto in gran parte al continuo armamento da parte della Russia delle sue risorse energetiche”. Gli interventi dovranno sostanziare la risposta alla “crescente pressione che ciò esercita sulle famiglie e sulle imprese europee”. Secondo Bruxelles, “ciò può influire sui prezzi dell’elettricità e ottenere un effetto calmante generale sul mercato”.
LE CATENE CHE SI SPEZZANO
Ma oltre agli interventi più economici, la risposta europea alla Russia sta continuando ad arrivare in termini di riduzione delle importazioni di gas e petrolio. La dipendenza per il primo è scesa al 9%, sul petrolio i Grandi 7 dovranno confermare l’impegno al price cap. Inoltre, dal 5 dicembre scatterà l’embargo al greggio moscovita e dal 5 febbraio quello ai prodotti petroliferi. Le catene, insomma, si stanno spezzando.
L’IMPORTANZA DEL GNL AMERICANO
Se è vero che tra i nuovi fornitori del Vecchio Continente ci sono ad esempio la Norvegia, il Qatar, l’Algeria e gli Stati Uniti. Che sono un partner fondamentale per il gas naturale liquefatto, cioè trasportato via nave e poi rigassificato qui da noi. Basti pensare che nel giro di sei anni, Washington è diventato primo paese produttore e primo paese esportatore. Solo nella prima metà di questo anno, in media ha prodotto 11,1 miliardi di piedi cubi al giorno (Bcf/d).
Secondo la Energy Information Administration, nei primi 4 mesi del 2022 gli States hanno esportato il 74% del loro Gnl all’Europa, una quota che era del 34% lo scorso anno. L’Asia, però, è stata finora la destinazione privilegiata.
Anche in Italia le importazioni di gas liquefatto sono cresciute, crescono sempre di più. Al netto delle sterili polemiche politiche sui rigassificatori. Secondo i dati di Mediobanca, a Livorno sono arrivate quasi il quadruplo delle quantità (0,4 miliardi di metri cubi); a Rovigo sono a a 0,7 miliardi di metri cubi; a Panigaglia è a 0,3 miliardi di metri cubi. Dati in costante rialzo di almeno sei punti percentuali.
IL MONITO DELL’INDUSTRIA: IN CRISI IL RAPPORTO USA-UE?
Tutto bene, quindi? Non proprio. Al netto di tanti progetti in programma per ampliare la produzione e l’esportazione di Gnl, gli Stati Uniti devono fare i conti con il caro prezzi. Che, secondo SP Global, dipende anche dalla relativa scarsità delle navi disponibili.
Anche perché il fenomeno del gas naturale liquefatto è da considerarsi ancora recente. Serve tempo per adeguarsi a queste ingenti necessità europee e non solo.
Un problema ribadito esplicitamente anche dagli industriali americani, sia del gas che del petrolio. “Non è che gli Stati Uniti possano pompare tanto di più. La nostra produzione è quella che è”, ha dichiarato Wil VanLoh, capo del gruppo di private equity Quantum Energy Partners, uno dei maggiori investitori dello shale patch. “Non c’è nessun salvataggio in arrivo”, ha aggiunto VanLoh. “Né sul fronte del petrolio, né su quello del gas”.
“Non stiamo aggiungendo impianti di perforazione e non vedo nessun altro che ne aggiunga”, ha detto Sheffield.”Gli investitori in genere non vogliono che le società di scisto perseguano un modello di crescita”, ha affermato Ben Dell, amministratore delegato del gruppo di private equity Kimmeridge Energy. “La disponibilità di capitale è estremamente limitata”.
GLI SCENARI SUL RAPPORTO USA-UE
A livello globale, secondo l’ultimo rapporto dell’Opec, la domanda di petrolio in questo anno non è variata più di tanto. Così come l’offerta. Anzi: in ambito Ocse, la richiesta di oil è stimata in crescita di 1,6 mb/d nel 2022, mentre la crescita non Ocse è prevista a 1,5 mb/d.
Invece, secondo l’analisi dell’Aie, “la crescita della domanda globale di petrolio continua a rallentare, appesantita dai rinnovati lockdown cinesi e da un continuo rallentamento nell’Ocse”. Il che è “in parte compensato dal passaggio su larga scala dal gas al petrolio”. Anche se la domanda mondiale di petrolio aumenterà di 2 mb/d nel 2022 e di 2,1 mb/d nel 2023. Ma, allo stesso tempo, la Russia sta soffrendo nel lungo periodo le sanzioni europee.
“Le importazioni di petrolio greggio russo nell’UE/Regno Unito sono diminuite di 880 kb/g dall’inizio dell’anno a 1,7 mb/g, mentre le importazioni dagli Stati Uniti sono aumentate di 400 kb/g a 1,6 mb/g”, ha rilevato l’Agenzia. Adesso, però, l’avvertimento dall’industria americana sarà da tenere d’occhio e in primo piano.